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Il ritorno dei selvaggi: le città diventano degli zoo

Lupi, orsi ma anche pappagalli e scoiattoli vivono liberi nelle periferie. E fanno litigare ambientalisti e agricoltori

Il ritorno dei selvaggi: le città diventano degli zoo

Cento milioni di euro ogni anno. È questa la cifra record che costa all'uomo la convivenza forzata con alcune specie di animali selvatici. Piani di tutela, recupero dei boschi, migliori condizioni ambientali e regolamentazione della caccia ne hanno favorito il ritorno dalla metà degli anni Novanta e oggi lupi, orsi, cinghiali e nutrie sono diventati un vero e proprio problema da risolvere. Da una parte ci sono le organizzazioni ambientaliste che festeggiano l'aumento progressivo delle popolazioni, dall'altra gli agricoltori, i pastori e gli amministratori pubblici che chiedono a gran voce di regolamentare le presenze in modo che siano sostenibili anche in un contesto urbano. Moltissime specie selvatiche sia quelle autoctone sia quelle importate dai Paesi esotici sono state vicine all'estinzione intorno agli anni Settanta. Con il passare del tempo, però, è cresciuta la sensibilità nei confronti della questione ambientale e così, anno dopo anno, gli esemplari sono aumentati. Recentemente il ministero dell'Ambiente ha contato le popolazioni cresciute esponenzialmente, scoprendo che dal 1980 a oggi i cervi sono aumentati del 700 per cento, i cinghiali del 400 per cento e i caprioli del 350 per cento. Ma dalle città ai piccoli borghi italiani è molto facile incontrare anche mufloni, camosci alpini, lupi, orsi, linci, rondini, faine e cicogne. Senza dimenticare animali che con il nostro territorio hanno tradizionalmente poco a che fare, ma che ormai si sono insediati stabilmente anche alle nostre latitudini.

UCCIDERE O NO?

È il caso delle nutrie, che arrivano dal Sud America, dei pappagalli, degli scoiattoli thailandesi, degli scoiattoli grigi americani e delle tartarughe azzannatrici. O degli squali che, grazie all'aumento progressivo della temperatura del mare, hanno fatto del Mediterraneo un nuovo punto di riferimento. «Sono davvero molte le specie selvatiche che si avvicinano sempre più alla realtà urbana conferma Danilo Mainardi, etologo dell'università Ca' Foscari di Venezia e autore del libro La città degli animali -. «Questo fenomeno accade magari in modo saltuario e la presenza di queste specie è temporanea. Ma può effettivamente essere solo l'inizio di un potenziale inurbamento. La volpe è un esempio. Fino a pochi anni fa si contavano solo pochi avvistamenti, mentre oggi siamo di fronte a una presenza stabile con un numero elevatissimo di individui nel cuore di molte città europee. A Londra, per esempio, si stima siano oltre 10mila. Casi simili sono quelli dei cinghiali e dei lupi che si aggirano nelle periferie o nei parchi urbani». Proprio il lupo è il grande protagonista di questo ritorno. Intorno agli anni Settanta la specie era considerata in via di estinzione, con circa cento esemplari sparsi lungo la Penisola. Ora di animali se ne contano almeno duemila sull'Appennino - concentrati soprattutto fra Toscana, Emilia, Umbria e Basilicata e 150 sulle Alpi. Se da una parte gli ambientalisti fanno festa, dall'altra i pastori sono disperati. Al punto che il ministero dell'Ambiente sta discutendo un piano che consentirebbe di abbattere il cinque per cento della popolazione. Una proposta che ha mandato su tutte le furie la Lav, Diritti degli animali che parla di un «salto indietro di mezzo secolo». Un problema simile riguarda i cinghiali: il loro aumento progressivo crea grossi problemi agli agricoltori, che però si trovano di fronte il muro di chi difende queste specie senza considerare le esigenze di chi vive a stretto contatto con loro e ha bisogno di proteggere i propri interessi. E poi ci sono le nutrie che hanno colonizzato il Nord Italia.

CARTE BOLLATE

Il governo nel 2014 ha retrocesso questi animali da specie selvatica e quindi tutelata - a specie infestante. Delegando ai sindaci il compito di regolamentare l'invasione. Così l'Emilia Romagna ha varato un piano per la loro soppressione, contro il quale si è scatenata la furia di Lav, Enpa e Wwf. Gli ambientalisti difendono i roditori a spada tratta senza considerare che il loro istinto di scavare tane e tunnel può distruggere gli argini dei corsi d'acqua, favorendo le esondazioni. Il problema è talmente esteso da essere finito in tribunale. La Provincia di Arezzo si è vista costretta a risarcire con quattro milioni di euro gli imprenditori colpiti da un allagamento causato in parte dal cattivo monitoraggio dell'attività di questi animali. Che creano problemi anche in Veneto, dove la Regione ha spedito ai Comuni una direttiva che disciplina la caccia delle nutrie. Anche questa fortemente osteggiata dai difensori degli animali. C'è poi il caso, non meno spinoso, dello scoiattolo grigio americano, molto diffuso a Genova e Perugia. La sua presenza mette a rischio l'unica specie autoctona italiana: lo scoiattolo rosso. Così la Ue è scesa in campo imponendo al nostro Paese di tenere sotto controllo la situazione. Meno invasivo, ma altrettanto monitorato, è il progressivo ritorno di rondini, cicogne, cervi e camosci. Che dimostrano come per gli animali le città stiano diventando un habitat alternativo.

L'AUTOSTRADA D'ACQUA

«L'ambiente urbano di per sé non è ostile, come si potrebbe pensare prosegue l'esperto -. Molte specie selvatiche si adattano rapidamente. Non dimentichiamo che nell'area urbana gli animali trovano facile riparo, sono meno esposti ai rischi in cui incorrono in natura. E poi possono contare su cibo facilmente accessibile nei cumuli di rifiuti».

Nel contempo non dimentichiamo che continua l'abbandono di terreni agricoli in zone collinari e montane sempre meno usate per le tradizionali attività rurali e che dunque tornano a una condizione di naturalità. Così rapidamente vengono ricolonizzate da comunità selvatiche, sia animali sia vegetali. Il fenomeno sembra ormai inarrestabile. Questi animali arrivano a ridosso delle città attraverso corridoi naturali come corsi d'acqua, argini, massicciate delle ferrovie e strade. Questo anche perché l'estensione delle periferie di molte aree metropolitane è tale da invadere spesso campagne abbandonate e zone boschive di pianura e di collina. «È indispensabile conoscere a fondo il fenomeno e operare un monitoraggio costante precisa Mainardi -. Bisogna poi essere consapevoli che buona parte dei cosiddetti problemi che derivano dalla presenza di specie inattese sono causati dalla mala gestione, delle aree urbane da un lato e della fauna selvatica dall'altro. Il caso dei cinghiali, per esempio, è emblematico e dovrebbe insegnare come non ripetere più gli stessi errori». Ma le città non sono solo una nuova possibile casa. Per alcuni animali sono un rifugio temporaneo da lasciare al più presto per riconquistare la libertà. Come è successo per la lupa Alberta, vissuta nel box del Centro Monte Adone, sull'Appennino emiliano, fin dai primissimi mesi di vita e poi finalmente restituita ai boschi.

Le immagini della sua corsa mozzafiato verso la sua nuova vita dopo 15 mesi di cattività hanno fatto il giro del mondo.

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