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Il ritorno di Reno «Io che ero in campo con Joe Di Maggio»

Il ritorno di Reno «Io che ero in campo con Joe Di Maggio»

«Certo che l’ho incontrato Joe Di Maggio. Era il 1968. Sono partito da casa mia, a Windsor in Canada, per potergli stringere la mano al Tiger Stadium di Detroit, al di là del fiume in territorio americano. Una persona cortese, ma anche molto riservata. Per me è stato il più grande giocatore di baseball di tutti i tempi. Lui era l’idolo della comunità italiana e la gente lo amava. Io non sono un mito, però posso dire anch’io che 10 anni li ho passati nel massimo campionato. Joe, come me, era molto attaccato alle proprie origini, orgogliosi entrambi di essere italiani». Scava nei ricordi e cambia tono di voce Pierino Bertoia, nato nel gennaio del 1935 a San Vito al Tagliamento (Pordenone), quando parla della natia patria. Lassù in Major League, nell'olimpo del baseball pro americano, in 133 anni di storia, di oriundi di seconda o terza generazione ne sono arrivati tanti. Di giocatori nati in Italia soltanto sei. Rinaldo Ardizoia da Oleggio (Novara), oggi novantenne, ebbe l’onore di lanciare una sola partita con gli Yankees. Julio Bonetti era invece di Genova, Henry Arcado Biasatti proveniva da Beano, frazione di Codroipo (Udine), Marino Pieretti da Lucca, Lou Polli ebbe i natali a Baveno (Verbania). Pierino Bertoia è stato l’ultimo dei nostri connazionali a farsi notare sui diamanti d’America: 10 stagioni tra Detroit, Washington, Minnesota e Kansas City. Oggi questo pimpante signore di 74 anni, il cui nome è stato storpiato dai funzionari dell'immigrazione in Reno Peter Bertoia, del Friuli non conserva solo il ricordo. Un mese l'anno, dal 2005, lo trascorre in Italia con la moglie Joan. Per onorare la sua terra e ritrovare un folta schiera di cugini. «I miei genitori, Libero e Rina, sono nati a San Lorenzo di Arzene e San Giovanni di Casarsa. C’era tanta miseria e mio padre decise di andare in Canada. Fu assunto alla Ford, mise in banca 500 dollari e finalmente riuscì a trasferire tutta la famiglia. Era il 15 dicembre 1936, avevo appena 23 mesi». Reno Bertoia cresce a Windsor, Stato dell'Ontario. Vicino di casa era un altro italiano, «Hank» Biasatti, approdato al massimo livello del baseball pro. Un modello per Reno la cui aspirazione era indossare la casacca dei Tigers, la squadra di Detroit. Padre Cullen gli insegna i trucchi del gioco e nel 1953 arriva il contratto dei Tigers. Un «bonus baby» a 18 anni da 10.000 dollari più viaggio per mamma Rina, cuoca al Giovanni Caboto Club, in Italia e studi assicurati all’Assumption University. Bertoia debutta in Major League il 22 settembre: «Sono stato l’unico giocatore ad essere nato in Italia, cresciuto in Canada e ad aver giocato in America».
Sei stagioni con Tigers, poi Senators, Twins e Athletics. 27 fuoricampo. Una breve esperienza in Giappone (primo italiano nella Nippon League), poi il ritiro dalle scene per insegnare storia. Dall'88 Bertoia è nella Hall of Fame del baseball canadese. Non sapeva neanche che in Italia si giocasse. «Alla fine degli anni '50 il principe Steno Borghese mi scrisse una lettera per invitarmi a far qualcosa, non ho saputo più nulla. Ma la soddisfazione più grande è stata la vittoria degli azzurri contro il Canada lo scorso World Baseball Classic. Mi hanno impressionato, li ho visti in tv... Liddi e Maestri sono davvero nelle leghe minori americane? Devono credere in loro stessi, non è facile per gli italiani arrivare a certi livelli. Ma se loro, così giovani, sono già in “doppio A” vuol dire che sono veramente bravi».

Parola di Reno.

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