Stile

Robot e soda Così i bartender shakerano i gusti del futuro

Bannie Kang (Singapore) vince la gara che più detta le tendenze della mixology

Marco Zucchetti

nostro inviato a Glasgow

C'è chi legge il futuro nei fondi delle tazzine di caffè e chi per capirlo scruta un Old Fashioned nel tumbler. Questione di gusti e punti di vista, ma se il caffè rimane questione da chiromanti, oggi il bancone del bar è davvero la posizione privilegiata per dare una sbirciata sul domani.

La finale della World Class competition, la più grande gara internazionale per bartender, organizzata dal colosso del beverage Diageo e giunta alla sua undicesima edizione (più di 300mila i professionisti coinvolti finora), è ormai unanimemente riconosciuta come la fabbrica dove si crea il gusto che verrà. Le tendenze, gli stili, le tecniche, le filosofie del cocktail vengono forgiate qui, dove i 53 vincitori delle gare nazionali si ritrovano per sfidarsi tra mystery box e prove di velocità. Va da sé che l'asticella si alza. E pure la qualità generale di quel che si beve.

A Glasgow, tra i murales della zona industriale sulle rive del Clyde, a vincere è stata Bannie Kang, coreana che ha gareggiato per Singapore, dove lavora all'ANTI:DOTE. Semplicemente perfetta dall'inizio alla fine, quando ha eseguito sei drink classici in poco più di 5 minuti mentre i comuni mortali in quel tempo a malapena tirano fuori il bicchiere dall'armadio. Minuta, concentratissima, è anche portatrice di un'aria nuova, con la sua concezione di una mixology curativa e sociale. Buona la prova dell'italiano Salvatore Scamardella, che però non ha raggiunto le final eight.

Ma come sempre accade alle finali World Class, al di là dello spettacolo c'è il contenuto. Che non sono solo i prodotti (il gin Tanqeray, la tequila Don Julio, i whisky Johnnie Walker, Singleton of Dufftown e Talisker, il bourbon Bulleit, il rum Zacapa, la vodka Kettle One e il vermut Belsazar), ma la missione: «Aumentare la consapevolezza e la cultura del bere bene spiega Lauren Mote, global cocktalian canadese e una delle più influenti esperte di mixology -. Dobbiamo passare dal devo bere al voglio assaggiare».

Se less is more (meno è meglio, in termini di grado alcolico, quantità e anche ingredienti del drink) è un concetto che da qualche tempo ha preso piede, altre sono le novità che segneranno la miscelazione dei prossimi anni. In primis la tecnologia, che può spaventare ma in realtà andrà ad aiutare la creatività dei bartender. Il laboratorio «Taste of future» è un luna park futuristico: macchine che con polvere commestibile disegnano brand o selfie sulla superficie di un Espresso Martini, stampanti per bottiglie serigrafate, gelatiere per sorbetti a base di vermut e lampone, centrifughe per chiarificare i drink, rotavapor per estrarre profumi a basse temperature. C'è di che divertirsi.

Al netto del ritorno del bicchiere Collins alto e stretto invece del balloon, si intravvedono anche tendenze quasi antitetiche. La prima è la personalizzazione del drink, sempre più su misura, come i Martini di Ago Perrone, disegnati da un sarto degli aromi. L'altra è controversa e in apparenza un tradimento dell'arte del bartending: i cocktail alla spina o in lattina, come gli highball (le varianti di whisky e soda, sempre più in voga). Sacrilegio? No, se la qualità e il genio restano alla base. Nessuno rimpiange i gin lemon velenosi degli anni '90 spruzzati come Coca Cola, ma provate un Talisker, foglie di fico e soda al lime e cambierete idea.

D'altronde la chiave è sempre una, la fiducia nel barista. Da parte del cliente, che si affida a lui «come al sommelier o al cuoco», spiega Mark Moriarty, chef dublinese che per Diageo cura la sempre più fondamentale area dell'abbinamento col cibo: «I cocktail funzionano come il vino, completano l'esperienza di gusto». Esperienza che diventa sempre più inclusiva: ora anche il bar sotto casa ha una bottigliera ricchissima, i clienti che bevono solo «il solito» si stanno estinguendo: «World Class conclude Lauren Mote ha cambiato il concetto di lusso. Si va verso l'eccellenza accessibile e la curiosità consapevole. Se tutti ci ascoltiamo a vicenda, il drink può regalare emozioni e vibrazioni.

La mixology è questo».

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