Coronavirus

Ora gli albergatori si blindano: "Senza turisti rischio di occupazioni"

Nella Capitale decine di alberghi hanno gli ingressi murati o sono presidiati 24 ore su 24 dai proprietari. Qualcuno si è procurato anche un'arma: "Abbiamo paura di sbandati e centri sociali"

Ora gli albergatori si blindano: "Senza turisti rischio di occupazioni"

Il viavai dei turisti con i trolley formato extra large, i receptionist in livrea e il rumore di piatti e bicchieri che traballano sui vassoi sono solo un lontano ricordo. Il Covid ha cambiato faccia alle nostre città. Il centro della Capitale non è più lo stesso. Le strade sono vuote e tante, troppe serrande sono rimaste abbassate.

Anche gli alberghi sono blindati. Grossi lucchetti di ferro sigillano i cancelli, mentre gli ingressi, in molti casi, sono stati addirittura murati. Su 1200 hotel della Capitale, solo 80 hanno riaperto i battenti. Gli altri restano serrati in attesa del ritorno dei visitatori stranieri. È uno scenario surreale, senza precedenti. "Neppure durante la guerra abbiamo assistito ad una situazione di questo tipo", ci dice Giuseppe Roscioli, presidente della sezione romana di Federalberghi.

Da generazioni la sua famiglia si tramanda questo mestiere, ma mai nessuno si era trovato di fronte ad una catastrofe così imponente. "Secondo gli studi delle grandi catene internazionali – ci spiega – per tornare al fatturato del 2019 bisognerà aspettare almeno il 2023". "Molti colleghi – scommette - apriranno direttamente a settembre, altri addirittura a marzo". Luglio e agosto, del resto, sono mesi morti per il turismo romano.

Nel frattempo, il timore dei proprietari è che le strutture possano essere prese di mira da sbandati e attivisti dei centri sociali. Per questo c’è chi ha fortificato le entrate con grossi pannelli di legno e chi si è addirittura improvvisato vigilantes. "Ho una pistola, i bastoni, così se entra qualcuno siamo pronti a difenderci", ci dice il custode di un hotel nella zona della stazione Termini. "Non ci fidiamo di chi gravita qui intorno, e poi si sa, i lupi quando hanno fame escono dalle tane", taglia corto l’impiegato che da quando è iniziato il lockdown passa giorno e notte all’interno della struttura.

Non è l’unico. Come lui ci sono anche molti altri che hanno scelto di presidiare le proprie attività sistemandosi personalmente in una delle camere per vigilare 24 ore su 24. "A Roma succede almeno nel 50 per cento delle strutture, soprattutto in quelle a conduzione familiare", conferma Roscioli. Nella città delle occupazioni, talvolta pure benedette dal Vaticano, la preoccupazione, infatti, è che gli hotel abbandonati possano trasformarsi nella casa di decine di disperati.

"In passato è già successo, sono cose studiate a tavolino, quando arrivano hanno già la piantina dell’hotel con i cognomi delle persone che devono andare nelle camere – racconta il rappresentante degli albergatori romani – e poi si presentano con bambini, disabili, donne incinte, quindi una volta dentro è difficile che vengano sgomberati". "Un mio collega in zona Tiburtina – prosegue - si trova in questa situazione da sei anni ed ha mandato in fumo venti milioni di euro".

Roscioli è uno di quelli che ha sigillato le entrate dei suoi hotel con le assi di legno. Siamo in viale Manzoni, nel cuore della Capitale. A poche centinaia di metri da qui, a via di Santa Croce in Gerusalemme, c’è l’ex sede Inpdap divenuta famosa per l’intervento dell’elemosiniere del Papa, il cardinale Konrad Krajewski, che si è speso personalmente per soccorrere gli occupanti abusivi che avevano accumulato un debito da capogiro con l’Acea. "Sì, ho paura che qualcuno possa introdursi all’interno approfittando di questa situazione", ci confessa. "La proprietà privata in Italia non è tutelata, è questa la verità", si lamenta l’imprenditore.

Dall’altra parte del centro storico, nel rione Prati, la signora Loredana Mariani ha scelto di trasferirsi nel suo hotel: un’antica locanda risalente a metà Ottocento che da decenni viene gestita dalla sua famiglia. Dorme qui ormai da 84 giorni. "Non creda che sia facile, anche se io qui ci sono nata e cresciuta è doloroso stare lontani dalla propria casa e dai figli", ci confida. "Lo faccio per necessità – ci spiega - abbiamo mandato in cassa integrazione tutti i dipendenti e abbiamo il timore che qualcuno possa introdursi per fare dispetti o occupare".

"Un’attività chiusa per mesi – aggiunge - può far gola a molte persone". Anche un suo collega a Borgo Pio ha fatto la stessa scelta. "Purtroppo – si sfoga - siamo delusi e amareggiati".

"Dal governo – sottolinea Loredana - ci sono state tante parole e tante promesse, ma pochi risultati".

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