Controcultura

Da Romolo a Beppe Grillo corsi e ricorsi nell'«antistoria» di un popolo

L'autore ha percorso gli ultimi tremila anni inseguendo la preda dello «spirito nazionale»

Da Romolo a Beppe Grillo corsi e ricorsi nell'«antistoria» di un popolo

Matteo Sacchi

È difficile ripercorrere la storia della propria nazione, anzi del proprio popolo. Si rischia sempre l'apologia, il luogo comune o, dal versante opposto, l'autodenigrazione piagnona. Giordano Bruno Guerri nel suo saggio Antistoria degli italiani. Da Romolo a Grillo (La nave di Teseo, pagg. 800, euro 24), affronta questo tema complicato, cercando di evitare entrambi gli estremi e scandagliando tremila anni di storia per delineare quei fili invisibili, intessuti nel tempo, che ancora oggi contraddistinguono il nostro «spirito» nazionale. Guerri si era già esibito sul tema nella sua Antistoria degli italiani. Da Romolo a Giovanni Paolo II del '97 (Mondadori). Ora torna a compulsare le italiche vicende in una nuova edizione, ampiamente aggiornata e riscritta, che arriva a raccontare gli esiti convulsi delle elezioni della primavera 2018.

Lo scopo di Guerri, in quest'opera dal piglio divulgativo, non è semplicemente mettere il lettore davanti a una carrellata di date e di fatti. Piuttosto capire come invasioni, fondazioni di liberi comuni, battaglie, creazioni letterarie, trattati, opere d'arte, tradimenti ed elezioni abbiano creato «l'italianità». Seguendo il ragionamento di Guerri, articolato per moltissime pagine e un'infinità di esempi, si possono rintracciare dei punti fermi. Ad esempio il confronto con Roma antica.

Che nella Penisola sia esistita una realtà militare e imperiale forte come quella dei Romani è per l'italiano un fatto imprescindibile. Il paragone con gli antichi archi trionfali, che rischia di vedere il presente sempre perdente, è il vero tormentone della storia patria dai tempi di Teodorico (che voleva essere il più romano dei barbari) passando per il Rinascimento e arrivando a Mussolini. Ovviamente però gli italiani non sono i Romani, tanto più che nella Penisola anche ai tempi di Roma antica le etnie erano tantissime, e forse potremmo sentirci più eredi dei civilissimi Etruschi che dei bellicosi Quiriti. Ma tant'è, il confronto resta...

Un altro dei temi sui cui Guerri insiste molto è quello della frammentazione verificatasi nella Penisola dopo il crollo dell'Impero. È un tema strettamente collegato alla presenza in Italia della Chiesa cattolica che, avendo assunto anche una dimensione statuale, si è trovata a favorire l'unità culturale degli italiani e a tramandare un importante lascito dottrinale, però ha impedito per lunghissimo tempo la creazione di uno Stato nazionale. Il corollario è che prima di sentirci italiani ci sentiamo sempre qualcosa di più piccolo, di cittadino. Ma spesso anche dentro i Comuni (gli esempi a Guerri non mancano) prevaleva lo spirito di fazione. Ad esempio, per quanto il Rinascimento sia stato fastoso e magnifico e per quanto sognasse la romanità, per molti versi fu il trionfo di queste logiche particolaristiche. E il risultato fu l'invasione da parte di potenze straniere molto più organiche. Anzi, per certi versi l'idea che si ha all'estero dell'italiano - intrigante, ingannevole, perfido, adulatore - è figlia della diffusione di uno fra i più noti trattati cinquecenteschi, Il Cortegiano.

E per quanto oggi ci si possa sentire diversi o sperare diversi, vizi e virtù di un popolo cambiano lentamente.

E sono figli di una lunga storia, mai delle ultime elezioni (anche se Guerri racconta pure quelle).

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