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Dal rosa al rosè Tra i vigneti e i sogni di Casa Moser

Sopra Trento c'è la tenuta di Francesco, l'ex campione di bici rimasto agricoltore. Con figli e nipoti che garantiscono il futuro

Marco Lombardonostro inviato a TrentoGirando per il Maso Villa Warth può capitare che ti caschino un paio di cachi in testa: «Prendili e mettili in tasca: vedrai che in un paio di giorni diventano maturi». L'uomo che ti bersaglia parla da una scala e intorno a lui ci sono 25 ettari di terreno di una collina che domina Trento: undici di questi sono coltivati a vigneti e in mezzo c'è appunto l'albero di cachi. Buonissimi, appunto, un paio di giorni dopo. Francesco Moser è così: non lo tieni mai fermo, soprattutto in mezzo alle sue campagne. Nelle cantine di famiglia, poste sul punto sopraelevato della collina, è il giorno in cui si festeggia l'arrivo del nuovo rosè, e lui gira di corsa per la tenuta a farti vedere la sua terra: libera i cani, tre fantastici Terranova più un bastardino affettuoso, ti porta sulla terrazza che domina la città, e racconta. Dei suoi tempi, di quando era l'idolo delle folle, il ciclista più amato. Ma di ancora prima, di quando faceva l'agricoltore, perché è così che nasce il mito Moser: «Qui si coltiva la terra da tre generazioni ed io ho cominciato molti anni prima di fare il corridore. Siccome avevamo anche queste viti, allora con i miei fratelli ci siamo messi in testa di produrre il vino, però in modo molto artigiano: andavamo a spigolare nei campi e producevamo damigiane di un vino torbido torbido. Ma bastava a quelli del paese: andavamo fuori dalla chiesa dopo la messa e arrivavano i bevitori. Un bicchiere, due, tre e alla fine partivano le bottiglie... Era l'inizio degli Anni Sessanta».Da allora molto è cambiato e la famiglia si è allargata: i fratelli Moser della generazione di Francesco erano in 12 («ed io dal 1965 ho cominciato a fare il contadino perché Aldo e Diego correvano: ho smesso nel '71, ma erano già due anni che facevo il ciclista professionista»), adesso le Cantine Moser vedono in prima linea i figli Francesca, Carlo e Ignazio più il nipote Matteo, figlio di Diego, enologo (e naturalmente ex corridore). Una vera squadra che pedala dalla stessa parte per alzare la qualità dei prodotti della casa, che partono dallo spumante 51,151 (il mitico record dell'ora di Francesco) e passano per vini bianchi (Gewürtztraminer, Riesling, Müller Thurgau) e rossi (Lagrein e Teroldego), con un interessantissimo Moscato Giallo e, appunto, il nuovo Trento Doc Rosè: «Un prodotto in tiratura quasi limitata - spiega Ignazio, che fino alla scorsa stagione era anche lui professionista delle due ruote - per far vedere la qualità delle nostre cantine». Tutti, figli e nipoti, trattano Francesco con quel misto di adorazione e di sopportazione mista a rispetto, che è proprio di chi vive con un monumento in casa: nella cantine, per dire, c'è un piccolo museo con biciclette, maglie rosa (e non solo) e trofei dei tempi d'oro, però poi acchiappare il grande campione è appunto un'impresa, soprattutto se lui è già partito a staccare i cachi (od anche l'uva americana) per farteli assaggiare. Francesca ride: «Mio padre è sempre in movimento: una presentazione un giorno, un evento un altro. Gli piace raccontare e tutti vogliono sapere. Ad esempio della rivalità con Saronni, ed in effetti non è che andassero molto d'accordo: mio papà diceva che non lo sopportava perché in corsa gli stava a ruota e lo faceva sempre lavorare». Lavorare, come ha sempre fatto Francesco e hanno sempre fatto i Moser: il rosè è l'immagine dell'azienda che guarda al futuro e di sicuro figli e nipoti portano avanti con fierezza il nome di famiglia. Che, tra l'altro, ha anche degli altri terreni anche a Palù di Giovo, il paese mitico proprio perché di Francesco: «L'avevamo quasi abbandonata la campagna - spiega lui -, ma quando ho smesso di correre sono tornato alle origini. In fondo è questo quello che so fare. Nei campi non c'è mai vacanza, la vite deve essere curata perché dia un buon vino. L'unica cosa è che trovare oggi qualcuno che ti aiuta è diventato molto più difficile: il lavoro è sempre quello, eppure ogni volta lo devi rispiegare da capo. C'è meno attenzione». Forse meno pignoleria, che non può essere un difetto quando produce dei vini così. E allora: una gita a Gardolo di mezzo (è la strada che si inerpica fino al Maso e alla tenuta) è un viaggio nella qualità e nella semplicità di una famiglia d'altri tempi. Tra qualche anno magari - come rivela Ignazio - vi capiterà di provare anche un blanc de blanc su cui si sta discutendo (e discutendo...) e facendo prove, per il momento però vale la pena di finire in cantina a degustare il vino portando via qualche bottiglia e i ricordi di una visita speciale nel piccolo museo: «La cosa bella - sorride Francesca - è che a Natale il vino lo ordina anche Saronni...». E infatti poi arriva la prova: un paio di giorni fa i due eterni rivali si sono immortalati in un selfie proprio lì, nella cantina. S'immagina che Francesco avrà portato Beppe su quell'albero di cachi o nella caldaia per spiegare i segreti del suo impianto a legna. E magari, come capita spesso al maso, sarà pure spuntata una bicicletta lasciata lì fuori. Di sicuro Moser avrà fatto come al solito, come faceva ai bei tempi.

Un saluto e via.

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