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Russia, è morto Boris Eltsin: firmò lo scioglimento dell'Urss e sventò un golpe

L'ex presidente della Russia si è spento a 76 anni. Salì al Cremlino nel 1991, quando ci si preparava a dare l'ultimo saluto all'Urss tra le ultime riforme di Gorbaciov. Le reazioni nel mondo. Eltsin con i grandi della terra: guarda le immagini

Russia, è morto Boris Eltsin: firmò 
lo scioglimento dell'Urss e sventò un golpe

Mosca - Lo si ricorderà in piedi su un carro armato davanti alla "Casa Bianca", il parlamento russo, durante il golpe del 1991. Ma si ricorderà anche che il difensore della democrazia, due anni dopo, quel parlamento ordinava bombardarlo: punizione di "zar Boris" per i deputati ribelli, che avevano osato sfidare il suo ordine di scioglimento del Soviet Supremo. Boris Nikolaevich Eltsin, classe 1931, stroncato oggi da un infarto, resterà negli annali russi e di tutto il mondo, in ogni caso, come protagonista di enormi cambiamenti: primo presidente eletto della Russia; l'uomo che si ribellò al regime che lo aveva messo in un angolo, sino a rifiutare il suo "mea culpa" e la richiesta di riammissione nel Partito; colui che sciolse il Pcus ed ebbe un ruolo di primissimo piano nell'accelerare la fine dell'Unione sovietica, seppellita definitivamente nel dicembre 1991.

Figlio degli Urali, la regione montagnosa dal grembo ricolmo di preziosi minerali, Boris Nikolaevic Eltsin nacque nel 1931 nel villaggio di Butka Talizki. Nipote di un proprietario terriero espropriato, mamma e papà condannati a quattro anni di prigione per propaganda antisovietica. Il giovane Boris, però, si costruirà una lenta, inarrestabile carriera nel Partito comunista, partendo dagli studi tecnici, poi Facoltà di ingegneria edile e ingegnere sul campo nella regione di Sverdlov, dove nel 1968 diventa capo della 'sezione edilè del Pcus. Dopo un decennio nel Partito da leader regionale, durante il quale ordina la distruzione della casa dove fu sterminata la famiglia zarista), il grande salto arriva nel 1981, quando Eltsin diventa membro del Comitato centrale del Pcus.

La battaglia dentro al Pcus Nel 1985 si siede sulla potentissima poltrona di segretario generale del Pcus a Mosca. Ma la vita ai vertici moscoviti, tuttavia, non è senza incidenti, e nel 1987 uno scandalo gli costa il posto alla guida del Partito nella capitale: inutile la pubblica supplica per il rientegro. Da allora con il Pcus sarà una battaglia all'ultimo colpo. Vincerà Boris Eltsin.

Le dimissioni dal partito La prima grossa rivincita nei confronti del Pcus Boris Eltsin se la prende nel 1990, quando presenta pubbliche dimissioni al XXVIII Congresso del Partito. L'ultimo. Con questo gesto di estrema ribellione, il "figlio estromesso" diventa definitivamente il punto di riferimento dei movimenti democratici nati con la perestrojka e rimasti senza guida di fronte a un Gorbaciov tentennante, che non vuole abbandonare il Pcus, che crede alla possibile riforma dall'interno.

Il fallito golpe del 1991 e la morte dell'Urss Il leader sovietico crede anche che l'Urss sia "rifondabile" con un nuovo patto tra Repubbliche, ma il fallimento del suo progetto viene sancito con il tentativo di colpo di stato dell'agosto 1991. Per Eltsin - che si schiera contro i golpisti - è la consacrazione a leader democratico della Russia, presidente eletto dal mese di giugno di un Paese ormai 'indipendentè de facto. In una situazione di completa implosione dell'Urss, Eltsin si fa promotore della nascita della Comunità degli Stati Indipendenti (Csi), creatura mai giunta a maggiore età. L'Unione sovietica muore ufficialmente il 25 dicembre 1991, quando Mikhail Gorbaciov si dimette dalla presidenza sovietica. La carica viene abolita. A Mosca resta solo il presidente russo, Boris Nikolaevich, da allora per un decennio unico padrone del Cremlino.

Riforme a tutto campo Il primo mandato di Eltsin è all'insegna delle riforme a tutto campo, in un contesto spesso confuso e contraddittorio. Il presidente che vuole traghettare il Paese verso un sistema democratico e verso l'economia di mercato si trova in crescente contrasto con le strutture del potere sopravvissute all'implosione dell'Urss. Nel 1993 con un decreto ordina lo scioglimento del sistema dei Soviet, le assemblee parlamentari sovietiche. Quello federale russo si oppone e Eltsin ordina di bombardarlo. Uno dei capi dei ribelli è il suo vice, Alexander Rutskoj, che finisce in prigione. La carica di numero due viene cancellata.

Guerra in Cecenia Nel dicembre 1994 Eltsin manda i carri armati in Cecenia, avventura militare che doveva far riemergere l'orgoglio russo e finisce invece con una disfatta su tutti i fronti. Nel giugno 1995 un commando di guerriglieri ceceni prende in ostaggio a Budennovsk un intero ospedale e la Russia di Eltsin è costretta a trattare una tregua, praticamente una resa. Per il leader russo è una sconfitta bruciante e la sua immagine ne esce fortemente scossa.

La rielezione nel 1996 Nel marzo 1996 Eltsin viene però nuovamente eletto, al secondo turno, battendo il candidato comunista Gennadij Zjuganov. Oggi le cronache del Cremlino fissano al 1997 l'incontro con Vladimir Putin, diventato capo dell'apparato di controllo dell'amministrazione presidenziale. "I rapporti di Putin - scriverà Boris Nikolaevic nelle sue memorie - erano modello di assoluta chiarezza. Evitava l'aspetto sociale degli incontri, cercava di togliere l'elemento umano dai nostri contatti. Ma proprio per questo mi andava di vederlo". All'epoca, però, di Putin nessuno sente parlare.

Il potere nelle mani della famiglia Dal 1997, alla guida del governo russo si succedono vari premier - Cernomyrdin, Kirienko, Primakov - il potere si concentra sempre di più nelle mani della famiglia del presidente e relativi amici, i cosiddetti oligarchi. Eltsin è sempre più chiacchierato, sempre più in difficoltà sul fronte interno e all'estero, sempre più assente dalla stanza dei bottoni. Il soprannome "Corvo bianco" lascia il posto a "nonno Boris" , descritto come un alcolista senza possibilità di recupero. Nell'agosto del 1999 Eltsin nomina l'allora capo dell'Fsb (i servizi nati dalla riforma del Kgb) primo ministro: Vladimir Putin passa di fatto al comando e due mesi dopo lancia la seconda campagna di Cecenia. La repubblica caucasica che per Boris Nikolaevic segnò l'inizio della fine, per Vladimir Vladimirovic (Putin) diventa il trampolino verso il potere definitivo e la presidenza.

La nomina di Putin a primo ministro nel 1999 Nell'agosto del 1999 Eltsin nomina l'allora capo dell'Fsb (i servizi nati dalla riforma del Kgb) primo ministro: Vladimir Putin passa di fatto al comando e due mesi dopo lancia la seconda campagna di Cecenia. La repubblica caucasica che per Boris Nikolaevic segnò l'inizio della fine, per Vladimir Vladimirovic (Putin) diventa il trampolino verso il potere definitivo e la presidenza.

Le dimissioni a sorpresa Il 30 dicembre 1999 Eltsin firma un decreto per convocare elezioni presidenziali a giugno del 2000 e registra un messaggio alla nazione. A sorpresa, il discorso contiene le dimissioni del presidente, che nomina Putin capo di stato facente funzioni. Secondo lo storico Roy Medvedev tra zar Boris e il suo delfino fu stipulato un patto di ferro per l'immunità di Eltsin e della sua famiglia. Il patriarca Alessio II ne sarebbe il depositario. Boris Eltsin, che dopo l'uscita di scena era tornato a vita tranquilla ed apparentemente a nuova forma fisica dopo l'applicazione di un bypass multiplo nel 1996, lascia due figlie (Elena e Tatjana) e la moglie Naina. E lascia dietro di sè memorie contrastate, di un vero riformista approdato a maniere da regnante assoluto. Comunque un uomo del cambiamento.

Si racconta che nel difficile momento della firma delle dimissioni, uno stretto collaboratore gli si avvicinò, lo vide in lacrime e gli disse: «Mi creda, Boris Nikolaevic, qualsiasi cosa le sarà perdonata».

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