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Rapporto medico-paziente: "Senza empatia non c'è cura"

Paolo Magni, endocrinologo e professore di Patologia Generale: "Il paziente va compreso e ascoltato altrimenti gli algoritmi risultano inutili"

Rapporto medico-paziente: "Senza empatia non c'è cura"

Paolo Magni, professore di Patologia Generale all’Università Statale di Milano e endocrinologo, si occupa di malattie del metabolismo. Ci parla dell’importanza della prevenzione e del rapporto medico-paziente.

Professore, gli italiani fanno prevenzione?

“Poca. In alcune situazioni si tende a confondere la diagnosi precoce con la prevenzione. Va benissimo sottoporsi a periodici controlli, esami e visite, soprattutto dopo una certa età, ma la prevenzione è altro. È un insieme di comportamenti da adottare - meglio se da bambini e comunque da giovanissimi - per ridurre l’impatto delle malattie con gli anni. Non mi riferisco alle infezioni virali per evitare le quali si suggeriscono vaccinazioni e buone abitudine igieniche (lavarsi le mani e non avvicinarle alla faccia, arieggiare i locali e indossare la mascherina, soprattutto se si è raffreddati, o se ci si ritrova in luoghi molto frequentati), ma a quelle cardiovascolari, neurodegenerative e autoimmuni. In Italia il settore della prevenzione è abbastanza trascurato da un’impostazione che si ripete nel tempo: si pensa poco a investimenti economici e ci si comporta come se il problema non esistesse. Da qui la mentalità diffusa anche tra molti cittadini: si è spesso convinti che un problema di salute non possa capitare a noi, ma solo agli altri, e cosi via. Ma poi ci si ritrova a passare da un’emergenza all’altra…”.

A proposito delle malattie da lei citate, cardiovascolari e metaboliche, neurodegenerative e tumorali, dette anche non trasmissibili, pesa di più l’ereditarietà o l’ambiente?

“Derivano tutte da un insieme di fattori endogeni e di variabili imputabili all’ambiente: in ogni paziente questo rapporto è diverso. In alcuni 'pesa' di più la predisposizione ereditaria, in altri è determinante lo stile di vita. Accade, ad esempio, che su un paziente con situazione cardiovascolare compromessa il colesterolo alto incida all’80% e su un altro, con un quadro simile, incida al 30%. È uno dei motivi per i quali le statine (molecole che riducono il colesterolo) non hanno azzerato gli infarti. Focalizzarsi su un aspetto solo non mette al riparo dalla complessità. Tuttavia, sui fattori modificabili, la prevenzione è indispensabile. Per quanto riguarda i fattori genetici o ereditari, si tratta di situazioni complesse, che potranno probabilmente essere meglio chiarite in futuro mediante algoritmi di intelligenza artificiale.

Sì alla prevenzione, dunque, anche se non si conosce con precisione il rischio individuale?

“La prevenzione va certamente fatta, anche perché esistono meccanismi comuni a diverse patologie non trasmissibili. Si pensi a quelli legati all’obesità e all’infiammazione, ma in teoria, grazie alla genomica e alla medicina molecolare di precisione, il rischio individuale inizia ad essere quantificabile, come accennato prima, con algoritmi di intelligenza artificiale. Quello che manca è l’applicazione: non c’è ancora l’abitudine a definire le strategie personalizzate”.

Cosa si sa grazie alla medicina molecolare?

“Si sono chiariti, ad esempio, alcuni concetti antichi della medicina. Ciascuno di noi, per star bene, deve mangiare una certa quantità di cibo e praticare una corretta quantità di attività fisica. Si è capito, poi, come mai, nell’anziano, la disfunzione cognitiva viaggi assieme alla disfunzione motoria. In sintesi: chi si muove poco invecchia prima”.

Mens sana in corpore sano?

“È così. Oggi sappiamo che l’attività muscolare produce alcune molecole fra le quali l’irisina che attiva nel cervello un fattore di crescita neurotrofico in grado di migliorare le sinapsi. Ho in mente uno studio condotto sugli abitanti di Chiesa Val Malenco, perlopiù anziani, snelli e in salute. Fra le loro abitudini quotidiane c’era quella di camminare per lunghi tratti e dislivelli. Sarebbe interessante, perciò, valutare l’impatto della topografia assieme ai fattori ambientali…”

È vero che dal modo di camminare valutate il rischio di degenerazione cognitiva dell’anziano?

“Sì, la velocità di camminata sotto una certa soglia è un fattore di rischio. Anche l’intensità della stretta della mano, misurata con un apposito dispositivo indica, oltre alla pura forza fisica, anche lo stato di salute.

Ricapitolando: da giovani conta la consapevolezza che la salute è un bene da preservare e sono importanti le buone abitudini, da anziani è fondamentale muoversi. Voi medici riuscite ad approfondire questi concetti durante una visita?

“Su come andrebbero condotte le visite si potrebbe scrivere un trattato. La visita medica ideale dovrebbe comprendere aspetti di ascolto empatico e Medicina narrativa, in modo da qualificare la relazione medico-paziente. Purtroppo però spesso manca il tempo o il supporto di altre figure sanitarie, che possa velocizzare la parte più tecnica, come la misurazione dei parametri antropometrici (peso, altezza, circonferenza addome, ecc.) o la compilazione di alcune parti della cartella clinica. Come esempio pratico, se ho 30 minuti per una visita e ne passo 15 al computer per raccogliere informazioni anagrafiche e cliniche spreco l’occasione di comunicare in maniera accurata. In altri Paesi, l’attivazione di un lavoro in team ha favorito questo tipo di comunicazione medico-paziente".

Una bella notizia, quindi i robot non vi sostituiranno?

“Potranno velocizzare le mansioni meccaniche o tecniche, questo sì. Ma quello che conta non si calcola con un algoritmo. Tornando agli anziani, ad esempio, molte volte una conversazione e il cogliere da parte del medico se c’è più bisogno di una rassicurazione o di una spiegazione, magari su un farmaco assunto, può fare la differenza. Un buon rapporto di conoscenza empatica facilita di certo anche una buona diagnosi e terapia. Si pensi al valore della medicina narrativa che è poi l’eredità dell’antica Scuola Medica Salernitana.

Pur con i cambiamenti moderni, oggi funziona ancora così: accanto alle nozioni mediche tecniche, è l’empatia che ci permette di conoscere a fondo l’altro.

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