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Il sangue c'è ma cala la richiesta: negli ospedali non si opera più

L'emergenza sanitaria rende più complicati i prelievi ma le ricadute restano limitate. Insufficienti le forniture di plasma

Il sangue c'è ma cala la richiesta: negli ospedali non si opera più

In Italia è la forma più diffusa e capillare di volontariato: nel 2019 ha coinvolto oltre un milione e mezzo di persone, che sono andate in ospedale o nelle strutture specializzate per donare il proprio sangue, raccolto in due milioni 450mila sacche. Con l'emergenza Covid le donazioni hanno resistito. Ma anche in questo caso, però, la generosità ha una doppia faccia. Perché se la raccolta di sangue si è mantenuta su buoni livelli, quella di plasma è ancora in sofferenza. Il risultato è che l'Italia non riesce ad essere indipendente nell'approvvigionamento dei farmaci derivati.

«La pandemia non ha frenato la solidarietà», conferma il presidente nazionale di Avis, Gianpietro Briola. «Anzi: la donazione del plasma iperimmune, quello utilizzato nelle terapie anti-Covid, ha spinto anche le altre». La raccolta è andata bene soprattutto nei primi mesi della pandemia, poi è seguita un'estate sottotono. «Oggi siamo di fronte a numeri stabili rispetto alla media e in proporzione alla richiesta di sangue prosegue Briola-. Da gennaio a fine ottobre le donazioni sono scese di 107mila unità rispetto all'anno scorso, ma è anche vero che le strutture sanitarie hanno consumato 80mila sacche in meno per effetto del calo degli interventi chirurgici di routine. Dopo la prima ondata siamo addirittura stati costretti a rallentare la raccolta perché non c'era sufficiente richiesta a causa dello stop alle terapie ordinarie».

Proprio per questo in estate il sistema è andato in sofferenza. «Dopo la primavera in alcune Regioni sono ripartite attività come i trapianti. Ma la chiamata dei donatori, che il Covid ha reso necessaria per evitare gli assembramenti, non è andata di pari passo e quindi per qualche settimana il sangue è stato insufficiente». Il dato generale parla di un calo del 2%, ma se si considera la minore domanda la situazione si può considerare stabile.

Esistono però due distinti tipi di donazione, che seguono iter diversi e hanno risultati differenti. «Chi viene a donare il sangue riempie una sacca di globuli rossi, bianchi, piastrine e plasma spiega Briola -. I diversi elementi vengono scomposti in modo che il plasma possa essere congelato e inviato alle industrie farmaceutiche. Mentre il resto è utilizzato per le trasfusioni».

Ma questa non è l'unica possibilità. «C'è anche la donazione del solo plasma prosegue Briola-. In questo caso il sangue viene centrifugato per estrarre il plasma. Mentre quest'ultimo viene trattenuto e utilizzato per la creazione di farmaci plasmaderivati, il resto del sangue viene restituito al donatore. Si tratta però di una procedura più lunga e invasiva. Bisogna riempire una sacca da 700 centimetri cubici, contro gli ordinari 450. Inoltre occorre circa un'ora di tempo, per questo sono poche le persone disposte a sottoporsi al trattamento». L'operazione richiede anche una maggiore organizzazione da parte degli ospedali che dunque accettano un numero ridotto di donatori. Troppo pochi per garantire al nostro Paese la piena autosufficienza nell'approvvigionamento dei farmaci derivati. «Le aziende farmaceutiche italiane hanno delle convenzioni con le Regioni per utilizzare il plasma nazionale, che è pubblico conclude il presidente dell'Avis -. In questo modo riescono a produrre mediamente il 70% dei farmaci necessari.

Il restante 30% viene acquistato sul mercato internazionale».

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