Controcultura

"Il sapere è indispensabile ma non onnipotente"

Guido Tonelli è uno dei protagonisti della scoperta del bosone di Higgs al Cern, dove lavora ed è portavoce dell'esperimento Cms. Vive fra Ginevra e l'Italia, dove insegna Fisica a Pisa, anche se da ottobre è "bloccato" in Svizzera.

"Il sapere è indispensabile ma non onnipotente"

Guido Tonelli è uno dei protagonisti della scoperta del bosone di Higgs al Cern, dove lavora ed è portavoce dell'esperimento Cms. Vive fra Ginevra e l'Italia, dove insegna Fisica a Pisa, anche se da ottobre è «bloccato» in Svizzera. Autore di due saggi bellissimi, La nascita imperfetta delle cose (Bur) e Genesi (Feltrinelli), Tonelli parla di «Scienza» per il ciclo «Le parole del Vieusseux», organizzato per i 200 anni del Gabinetto (conferenza sul sito di «Più Compagnia» fino al 23 gennaio; poi sulla pagina YouTube del Vieusseux). E ne parla anche con noi.

Professor Tonelli, di fronte alla pandemia molti si chiedono: la scienza ha fallito?

«Questo è l'indicatore di un senso di onnipotenza che l'umanità ha ricavato dall'esperienza degli ultimi decenni. La vita dei nostri nonni era completamente diversa, si poteva morire per cause sconosciute e a qualunque età; negli ultimi settant'anni abbiamo sempre più avuto la sensazione che niente potesse minacciare la nostra salute e il nostro benessere e che, per qualsiasi malattia, ci fosse una medicina».

E invece...

«Invece è un pregiudizio, una specie di illusione. La scienza non ha mai promesso miracoli, anzi, la scienza ci dice di fare attenzione e ci ha ammonito che, se non teniamo conto degli equilibri naturali, i pericoli possono aumentare. È grazie alla scienza che, in pochi mesi, abbiamo capito che cosa sia questa malattia e da dove venga; grazie ai microscopi elettronici abbiamo individuato il patogeno e abbiamo visto come è fatto; infine, con computer potentissimi ne abbiamo simulato la composizione e scovato i punti deboli e così, in poco tempo, sono stati sviluppati dei vaccini».

La scienza non ci ha tradito?

«È vero che il fatto che sia scoppiata la pandemia può essere visto come una crisi di questa concezione di una scienza onnipotente, ma la scienza è una produzione umana con i suoi limiti, guai a considerarla onnipotente. E, quando c'è stata la crisi, è dagli scienziati che è arrivata la risposta, e questa è la prova di quanto la scienza sia importante per l'umanità. Nessuno avrebbe potuto tirarci fuori da questa situazione, se non gli scienziati, che hanno lavorato giorno e notte».

Si è vista anche un'arroganza della scienza?

«Questo è sicuramente avvenuto, ed è un discorso importante, al di là dei casi singoli. Nel momento in cui la pandemia ha mostrato questa importanza del ruolo della scienza per tutti, tanto che milioni di persone pendono dalle labbra degli scienziati e ogni loro dichiarazione viene soppesata, sorge una responsabilità nuova, enormemente superiore. Però emergono anche le debolezze umane...».

Un po' di voglia di protagonismo?

«Se viene a un nostro congresso, nota che le discussioni sono accanite, questo fa parte del carattere della scienza; ma, quando si parla in pubblico mentre milioni di persone soffrono e muoiono, serve un senso di responsabilità più elevato».

E come si fa?

«Le racconto un caso accaduto qui al Cern, quando, alla partenza di Lhc nel 2008-2009, molte persone si chiedevano se l'acceleratore avrebbe creato un buco nero e provocato la fine del mondo: ogni giorno c'erano la Bbc, la Cnn, la Reuters che ci interpellavano. Normalmente avremmo riso di quelle accuse, ma milioni di persone erano preoccupate, quindi non potevamo fare battute o essere superficiali. Abbiamo preso sul serio le argomentazioni, cercando di non irritarci».

C'è anche chi dubita della scienza a prescindere.

«La prima tentazione sarebbe di essere aggressivo: muoiono diecimila persone al giorno e dici che è una finta. Ma anche questo sarebbe un errore: l'unica soluzione è la pazienza, raccontare, aprire gli armadi della scienza e far vedere quello che c'è dentro».

Il dubbio però serve?

«Il dubbio rimane, ed è un elemento di salute: la scienza procede attraverso i dubbi. Il dubbio non è paralizzante, è prudenza, ma è la prudenza che ha fatto fare alla scienza i progressi che ha fatto».

La scienza è indispensabile?

«La scienza e la conoscenza sono la nostra visione del mondo. Tutto il nostro mondo, dai cellulari ai treni, dal web alla medicina, è basato sulla relatività generale e sulla meccanica quantistica. La scienza è indispensabile e lo sarà sempre di più in futuro, ed è per questo che le nazioni emergenti, in particolare la Cina, investono così tanto nell'innovazione: nel XXI secolo chi guida l'umanità nella caccia alle nuove conoscenze guida l'umanità tout court, è il padrone del mondo».

E l'Italia?

«Per giocare un ruolo, il nostro Paese deve spingere su innovazione e conoscenza, e ci sono le condizioni per farlo: un sistema educativo eccellente, nonostante le difficoltà, e dei giovani che hanno una marcia in più; ma serve un sistema politico che spinga in questa direzione, per i prossimi 25 anni».

La scienza porta al progresso in cui viviamo, ma il progresso porta allo spillover e alla pandemia. Come si trova un equilibrio?

«La scienza non può risolvere da sola tutti i problemi, questo è un punto fondamentale. Da un lato c'è la potenza del metodo scientifico, di una disciplina che cerca continuamente una prova degli errori delle proprie teorie, ed è questo che la rende forte: cerchi le grane, gli angoli sporchi nella casa pulita, perché negli angoli sporchi, forse, puoi trovare una verità più avanzata».

Però?

«Però noi scienziati siamo bravi con sistemi semplici e riproducibili, come i pianeti, le stelle e la materia. Gli individui non sono tutti uguali, e le società ancora meno. Gli strumenti con cui si organizza una società non possono essere decisi da scienziati: la scienza potrà essere una colonna della società, ma non può stabilire quali siano il sistema sociale migliore, le leggi del diritto, l'etica, l'estetica... Ci sono enormi campi in cui la scienza non ha niente da dire, per principio».

Lei si occupa di una scienza grandiosa.

«Gli americani la chiamano Big Science, perché ha dimensioni grandi: qui ci sono 3000 scienziati e infrastrutture gigantesche. Ma sono ancora più grandi le visioni e le teorie che essa sviluppa, come dopo la scoperta del bosone: vedere nel mondo il reticolo che lo sostiene è qualcosa che fa venire i brividi».

Nel suo libro, Genesi, questa scienza ci porta addirittura alle origini del mondo.

«Nei momenti di difficoltà, conoscere le proprie origini e il lungo racconto delle ere lontane di cui siamo eredi ci dà la forza per affrontare il presente con lucidità e serenità. Oggi che l'umanità vacilla e si chiede se sopravvivrà, vedere il nostro essere eredi di una storia lunghissima, anche materiale, che arriva fino al Big Bang, ci fa sentire meno soli e ci sorregge, è come un lungo filo di cui siamo l'estremità, e che passeremo ai nostri figli».

Non possiamo stare senza la scienza?

«Negli ultimi 30 anni tutti i governi hanno tagliato gli investimenti nella ricerca, negli ospedali e nella salute, ma credo che questa lezione terribile insegni alla politica che non bisogna considerare la ricerca come un lusso, e investire».

Per esempio?

«Si potrebbero costruire grandi centri di ricerca mondiali, tipo Cern, per la produzione di farmaci, per i vaccini e per la prevenzione da pandemie future: non sarebbe un investimento conveniente, anziché pagare il prezzo, e i danni, di una pandemia?».

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