Sciacca mostra i mali del secolo

Igor Principe

Scava nel presente e nel recente passato, indagando quel secolo che, pur breve, ha partorito tre totalitarismi e due guerre sanguinose come mai s'era visto prima. E racconta, non limitando la sua arte alla tradizionale funzione dell'evocare. Alla fine, si ha l'impressione di aver fatto quattro passi nella storia. E quando se ne esce, i pensieri non sono dei più leggeri.
«Innocenza e pietas», personale di Augusto Sciacca in mostra al Museo della Permanente fino al 2 giugno, conduce chi la visiti lungo le strade più crude dell'umana natura, analizzandone quella componente contro cui lottare pare sforzo vano: la violenza. Le opere esposte - a cavallo tra pittura, scultura e fotografia - compongono un campionario di orrori ben noti. Alcuni di essi sono incastonati nella cornice della cronaca, anche quando sono ormai storia: il Vietnam nelle immagini delle foto premiate con il Pulitzer; piazza Fontana rivista nell'atrio della Banca nazionale dell'agricoltura devastato dall'esplosione; piazza Venceslao invasa dai tank sovietici nel 1968; le Twin Towers tra l'impatto dei jet e la loro implosione. Altri emergono con più calma, imponendo una riflessione: una colomba immacolata dal petto macchiato di rosso; una corona di spine; una pietra. Quest'ultima si intitola «Genesi», e gli screzi color sangue da cui emergono sparuti ciuffi di capelli lasciano intendere bene la sua primordiale funzione bellica. Come a ricordare che la violenza è parte di noi e ci accompagnerà finché vivremo.
La mostra non è tuttavia un omaggio, o peggio una resa, al nichilismo.

Madre Teresa, Giovanni Paolo II, Gandhi, Francesco d'Assisi - scolpiti in un libro fatto di pagine d'oro e intitolato «Del sublime» - incarnano un messaggio di speranza che si aggancia con forza al filo rosso che unisce tutte le opere: la memoria. Come uno storico scrive perché dal passato si tragga la bussola per il futuro, Sciacca crea incastonando gli episodi in un promemoria da consegnare ai posteri.

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