Cultura e Spettacoli

«Scrivete onesto», consigli per giovani autori

Massimiliano Virgilio, ventinovenne, napoletano, con il suo recente romanzo d’esordio Più male che altro (Rizzoli, pagg. 275, euro 16), si rivela un genuino talento letterario accanto ai giovani scrittori che si sono rivelati o confermati nella scorsa annata letteraria e al principio dell’attuale (Valeria Parrella, Pietro Grossi, Paolo Giordano, Elena Varvello, Liviano D’Arcangelo, Paolo Di Paolo). Perfetta caratterizzazione psicologica dei personaggi attraverso i dettagli del loro comportamento, persuasività e icasticità dei lunghi e vivaci dialoghi, sottile logica dei mutamenti delle situazioni, degli umori e dei pensieri dei personaggi stessi: questi i pregi della sua affabulazione. Molto bello il racconto di una crisi matrimoniale che coinvolge simultaneamente tre generazioni evitando di cadere nel revival della saga, genere a volte uggioso tornato in voga.
Ma Virgilio deve stare attento a non guastare la sua vena narrativa con l’insistita ricerca degli effetti speciali, virtuosismi espressivi di troppo facile effetto sull’animo dei lettori: una vera violazione dello «scrivere onesto» cui ha sempre esortato Umberto Saba. Del resto è lo stesso Virgilio a confessare lealmente nella «Nota al testo» posta alla fine del libro: «Molti dischi e libri sono stati consumati per la stesura di questo romanzo; in vario modo e a vario titolo; tutti ne hanno influenzato il contenuto. In alcuni casi tali influenze sono visibili attraverso citazioni, manifestazioni e plagi». I libri che l’Autore cita come modelli sono noti per la scrittura «forte» e i temi abrasivi della polemica sociale e di costume, che li rende cari in particolare agli scrittori giovani: la violenza e la sua repressione, la corrosiva irrisione del costume corrente, la critica sociale, il sesso e il vagabondaggio come pure espressioni di libertà, il gusto di una vita alternativa alla banalità omologante della civiltà dei consumi. I loro nomi sono prevedibili, e d’indubbia qualità e potenza suggestiva.
Se al critico è concessa anche una «facoltà di servizio», cioè anche di dare consigli a un talento come quello di Virgilio, già incline a una visione del mondo umanissima ma disperata e a uno stile concitato e spesso ruvidamente paratattico, suggerirei altri autori di pari qualità e intensità critica ma di maggior respiro e di più vasti sfondi sociali e naturali, a esempio il Bellow di Herzog, il Doctorow de L’acquedotto di New York, il Malamud de L’assistente, il James Roth di Chiamalo sonno, il Philip Roth del recente e bellissimo Everyman, il Capote dei Racconti e di Preghiere esaudite, ma anche, arretrando un poco nel tempo, il Faulkner de La paga del soldato, e il Dos Passos del Quarantaduesimo parallelo.
È bene inoltre dar conto della tendenza di Virgilio a stupire il lettore con passaggi di eccessiva «bravura», che lo avvicina al barocco: «Se avesse dovuto scommettere su chi dei suoi genitori si sarebbe ammalato per primo, avrebbe scommesso su sua madre, così maniacale, invece è capitato a Tommaso, il diplomatico forte e bello. La malattia lo ha tenuto d’occhio per tutta la vita, in silenzio, spiandolo come un agente in borghese e ridacchiando in attesa di venire allo scoperto. Poi lo ha colpito» (pag. 97). E ancora: «Sono le diciotto e trenta di un normale sabato di dicembre e Giovanni sta camminando per corso Umberto I. Nell’aria c’è ferocia, ma non è la ferocia che si è portati a immaginare, fatta di gesti specifici e isolabili dal contesto, di aggressioni fisiche e di brutti ceffi. È qualcosa che galleggia nell’aria, una specie di bolla che avvolge tutto e nella quale ognuno cerca di arrangiarsi come può» (pag. 245).
Come antidoti e correzione di tali eccessi, consiglierei all’Autore di vedere e rivedere quel capolavoro di mirabile essenzialità che è Accattone, il migliore dei film di Pasolini, e poi, che so, l’obbligatorio Roma città aperta di Rossellini, Casco d’oro di Becker e Hiroshima mon amour di Malle.

Oltre naturalmente alla lettura e rilettura de I Malavoglia di Verga, seguita da La luna e i falò di Pavese.

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