Roma

Se la luce diventa «materia» l’arte è già scienza moderna

Se la luce diventa «materia» l’arte è già scienza moderna

«Ci sono momenti della storia in cui il grande artista riduce e condensa la produzione scegliendo altre modalità. Rispetto ai manieristi che facevano chilometri quadri di affreschi a volte belli a volte brutti ma comunque mal visibili e giudicabili, Caravaggio dipinge quaranta quadri nella sua vita. E avrebbe potuto dipingerne molti di più». Claudio Strinati, che ne è l’ideatore, illustra così la filosofia della mostra Caravaggio (alle Scuderie del Quirinale dal 20 febbraio al 13 giugno) che punterà l’attenzione solo sulle opere certe del maestro. Diverso dalla maggior parte dei pittori a lui contemporanei, prima di essere artista, era un intellettuale, con interessi scientifici che manifestò nelle sue opere, tra specchi e riflessi, tratteggiando il profilo di una intensa ricerca culturale, che ebbe il cuore nel periodo romano. In un percorso ridotto per quantità di tele - poco più di venti - ma ricchissimo per numero di capolavori, la mostra, con i commissari Rossella Vodret, soprintendente speciale per il Polo Museale Romano, e Francesco Buranelli, intende fare luce, per paradosso, sulla produzione di colui che la luce, o meglio la sua rappresentazione, sembra averla inventata, rendendola protagonista assoluta dell’arte come fenomeno naturale e manifestazione divina. Dalla carnalità dei soggetti all’ispirazione teologica, il percorso ricostruisce vita e vitalità artistiche di Caravaggio, rifuggendo dal criterio cronologico per proporre inusitati - e raramente possibili - confronti tra opere che presentano interessanti affinità pur essendo state realizzate in periodi diversi. Grazie a importanti prestiti da musei italiani e stranieri, per la prima volta sono affiancati in un ideale dialogo i capolavori più noti e frequentemente esposti dell’artista e altri più difficili da vedere. È una sorta di inedito la presenza della Canestra di frutta, mai uscita prima dalla Pinacoteca Ambrosiana, qui a confronto con il Ragazzo con canestro di frutta, dalla Galleria Borghese, e Bacco, dagli Uffizi, in un accostamento studiato per approfondire l’evoluzione stilistica della natura morta nella produzione dell’autore. I simboli nascosti da Caravaggio nell’opera hanno portato la critica a parlare di memento mori per la presenza di un frutto bacato tra altri sani, o di una inusuale iconografia della Vanitas, con la bellezza destinata a corrompersi. Quali che siano i reali significati, dal punto di vista tecnico l’opera chiude il periodo giovanile dell’artista. Tra le rarità esposte ci sono la monumentale Deposizione (Musei Vaticani), la più classicheggiante Incoronazione di Spine (Kunsthistorisches Museum di Vienna) e L’annunciazione (Musée des Beaux Arts di Nancy), per l’occasione restaurata presso l’Istituto superiore del Restauro nell’ambito di un progetto italo-francese. Pressoché limitato al controllo dei trattamenti del 1969, l’intervento capitolino ha restituito alla tela luci e colori originali, rendendone più facile la lettura grazie alla rimozione di vernici e ritocchi successivi. In mostra si incontrano e confrontano pure opere diverse ma sul medesimo tema. Sono le due tele della Cena in Emmaus, quella più suggestiva e familiare del 1601-1602, dalla National Gallery di Londra, e quella meno enfatica, del 1606, dalla Pinacoteca di Brera. E i tre dipinti, realizzati tra 1602 e 1603, raffiguranti San Giovani Battista - ai quali si aggiunge quello del 1610, alla Galleria Borghese - che di un unico soggetto mostrano letture differenti e distanti: è sensualmente lascivo e provocatorio il giovanissimo San Giovanni dalla Pinacoteca Capitolina, adolescente e quasi distratto, in realtà attirato dalla luce-rivelazione, quello efebico e ombroso di Palazzo Corsini, più consapevole e tormentato quello del Nelson-Atkins Museum di Kansas City.

Ancora, Amor vincit omnia da Berlino, con un giovane Eros dalla maliziosa e divertita carnalità, I musici da New York, e prestiti «ridotti», come Sacrificio di Isacco, Bacco e Amorino dormiente, dagli Uffizi, esposti fino al 17 maggio, e Cristo alla Colonna che arriverà da Capodimonte il 12 aprile.

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