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Segnali incoraggianti Ma il tempo della crisi non è ancora finito

Il mercato indica una buona ripresa, la strada è ancora lunga. Bene anche i volumi

di Fabrizio Rinversi

La domanda che tutti gli operatori del segmento orologiero si stanno facendo in questo momento, alla luce di diversi segnali positivi che stanno emergendo worldwide, è molto chiara: «Stiamo uscendo dalla crisi?» La risposta, purtroppo, non è altrettanto chiara o semplice da argomentare.

Partiamo dagli elementi incoraggianti. Le esportazioni svizzere, stando all'ultimo dato disponibile, ossia il mese di ottobre, sono in costante crescita: il suddetto periodo si è chiuso, infatti, con uno squillante +9,3% con, a livello di tipologia di segnatempo, un notevole contributo, sia delle varianti in metallo prezioso (+8,3%), sia di quelle in acciaio (+11,6%).

Dati che si sono ovviamente riflessi anche sull'analisi per fasce di prezzo (ante ricarichi della filiera distributiva), con il segmento 500-3.000 chf sugli scudi (+19,9% a quantità, +20,3% a valore) e la fascia medio-medio/alta a +6,3%.

A livello geografico, il Far East, con Cina, Hong Kong, Singapore e Giappone è tornato a macinare richiesta, seguito dal Middle East (Emirati Arabi Uniti su tutti) e dalla «vecchia» Europa. In termini, complessivi, dunque, per il periodo gennaio-ottobre 2017, le cifre parlano di un turnover delle aziende orologiere elvetiche, sul fronte delle esportazioni, di poco più di 16 miliardi e 260 milioni di chf, ossia +2,4% rispetto al medesimo lasso temporale del 2016, in ritardo, comunque, dell'8,8% sul dato 2015. Balza all'occhio il +17,3% della Cina, il +12% di Singapore e il +9,2 % della Gran Bretagna a motivo dell'effetto valutario Brexit. L'Italia, anche sul lungo periodo è stabile, ed è già una notizia (lo scorso anno, di questi tempi, i nostri importatori avevano «risparmiato» più di 100 milioni di chf).

Se andiamo, poi, a vedere su base continentale, le performance dell'Europa (+3%) e dell'Asia (+3,8%) sono sopra l'incremento medio, più basso a causa di un rallentamento, nemmeno troppo lieve del Nord America (gli USA, nei dieci mesi del 2017, hanno frenato nella misura del 4,5%). A tutto ciò aggiungiamo che, fatturati semestrali 2017 alla mano dei grandi gruppo orologieri di riferimento, Swatch Group è a +2,9% (+6,8% nell'utile netto), Richemont (periodo aprile-settembre) a + 10% con utile netto a +80% (va considerato, comunque, un parametro 2016 molto contenuto), LVMH Watch & Jewelry a +14%. Anche i volumi, poi, si stanno assestando: dopo un settembre in discesa, sono tornati a crescere del 10,1% in ottobre, a conferma che l'e-commerce e gli smartwatch sono ancora lontani dallo scatenare una rivoluzione, anche se sempre più incidenti. Il bicchiere mezzo pieno, specificamente in Italia, va individuato, dopo un lunghissimo periodo di «lacrime e sangue», nella sostanziale carenza di liquidità generatasi a livello distributivo, pur in presenza di un buon sell-out e di una situazione potenziale di interessanti turnover di prodotto. Della serie, bisogna chiudere le voragini del passato prima di mettere i mattoni del presente e le aziende distributrici, seppur generalmente soddisfatte della tendenza (anche sul fronte dei consumi interni), combattono battaglie quotidiane per rientrare dai costi.

Il mercato, pian piano sta ricominciando a «tirare», ma le ferite sono ancora aperte.

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