Serialità

Alex Schwazer, l’uomo fragile dietro al campione nella serie Netflix

“Il caso Alex Schwazer: la verità è una lunga marcia”, riapre la discussione sulla salute mentale degli atleti e gli interessi nascosti dietro lo sport

Alex Schwazer, l’uomo fragile dietro al campione nella serie Netflix
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Mamma Maria Luisa spalanca la porta di scatto, preoccupata per i singhiozzi che provengono dalla camera del figlio. Disteso sul letto, Alex Schwazer ritrae rapido lo zaino ingombrante appoggiato sul cuscino. Cadendo a terra produce un tonfo sordo: è colmo di pietre. Quelle che gli sarebbero servite per gettarsi, andare a fondo e farla finita. Ci ha ripensato proprio per lei, consapevole che l’avrebbe fatta soffrire troppo. Ma quel che in passato poteva apparire soltanto uno sciabordio negativo, adesso è un torrente interiore irrefrenabile.

“Il caso Alex Schwazer: la verità è una lunga marcia”, getta un fascio di luce dilaniante sulla solitudine dei numeri uno. Gratta via il velo di patina leggera che serve a farli luccicare, disvelando una verità stridente come un urlo nero. C’è un ragazzo fragile, prima ancora di un grande atleta, nella serie Netflix appena uscita sul marciatore altoatesino. C’è l’uomo che scivola, cammina pericolosamente sul bordo di giorni vuoti e si rialza, per poi essere infilzato di nuovo, anche se stavolta - secondo la sua versione e quella del Tribunale di Bolzano - tramite un sordido raggiro. Un’altra finestra spalancata sulla salute mentale degli sportivi. E sul groviglio di interessi oscuri che quel mondo irrora.

“Sono uno che non imbroglia”

Che botta, a conti fatti, rivedere Alex in lacrime dopo l’oro a Pechino 2008. Che impatto ascoltare quelle frasi slacciate con il groppo in gola alle telecamere Rai: “Sono uno che non imbroglia”. Già. Lui che era capace di farsi anche dieci ore di fila a piedi tra le montagne in cui era nato, alle Olimpiadi aveva sognato di parteciparci. Vincerle sembrava impensabile. E adesso che se ne sta lì, con quella medaglia a penzolargli da collo, ci tiene a ricordarlo a tutti, che quel giorno lucido se l’è meritato tutto.

Un perfezionista destinato a scivolare

Le cose gli vanno decisamente bene. Alex è un marciatore formidabile, la gente lo adora e lo ama forse ancora di più la sua fidanzata, la pattinatrice Carolina Kostner. Il prezzo preteso da quella vita apparentemente limpida è però contundente. Alex non accetta nulla di meno del primo posto. A Barcellona - lo racconta il padre nella serie - vince un argento e lo getta nella spazzatura. “Il secondo è il primo degli sconfitti”, sostiene ancora oggi. La bardatura che si è costruito intorno è più frangibile di quel che sembra da fuori.

L’epo, quel piede in fallo sul bordo del successo

Non c’è spoiler: il fatto che Alex inciampi nella tentazione avviluppante del doping è da un pezzo di pubblico dominio. Come ci arrivi diventa, oggi, più nitido per molti. In parallelo, nel frattempo, si sviluppa la storia di Sandro Donati, una vita passata a contrastare il doping in ogni sua declinazione. Affiorano tutti i lati più fuligginosi dello sport italiano, quello dei Conconi e dei Ferrari, il medico che gira l’Italia in camper con un laboratorio mobile, incontrando atleti come Alex. La stagione è quella delle emotrasfusioni e dell’Epo agilmente derubricato: “come un’aranciata”. Schwazer resta impigliato in quella trama vischiosa. Cade da solo, ma sospinto da un ambiente fetido. Il pianto in cui erompe in conferenza stampa, quando ormai è troppo tardi, è rivelatore di un malessere straniante.

Quella rinascita con l’amico-nemico

Abbandonato da tutti, anche dalla Kostner. Additato come un mostro, un truffatore, un poco di buono. Il macigno che l’ha appena seppellito è troppo pesante per essere spostato da solo. Lo aiuta a risollevarsi - la serie è in fondo una rappresentazione quasi corale - un altro reietto. Un altro di quelli rintuzzati in un angolo, anche se per i motivi opposti. Donati ha procurato eccessivo fermento ed è stato relegato, anche fisicamente, negli scantinati dello sport italiano. Il colpevole e l’accusatore - è stato proprio Sandro a incastrarlo - si mettono insieme per ricominciare. Una coppia alquanto singolare. Una combinazione funzionante. Il vecchio segugio rimette in sesto Alex. A squalifica scontata, potrebbe di nuovo essere il migliore di tutti.

Una nuova impossibile pugnalata

L’Olimpiade di Rio che si staglia sullo sfondo. Una nuova compagna. Il sogno di potersi riabilitare. Un intero quartiere, a Roma, che si accalca ai bordi delle strade per incitarlo. La vita ricomincia nei modi più impensabili. Poi la notizia di quel nuovo controllo, i valori che non tornano, così come le modalità con cui quel prelievo è stato raccolto. Il baratro che risucchia di nuovo. Due volte sarebbe troppo per qualsiasi essere umano. Ma stavolta Alex sa di essere innocente. Condanne grottesche, assoluzioni salvifiche, ripartenze in salita. Ha passo lento, ma incessante, la marcia verso la verità. Resta, in sottofondo, la percezione di una solitudine straziante. Un altro vaso scoperchiato e dentro, frugandoci, il dramma della salute mentale degli sportivi vissuta come un dimenticabile orpello. Accanto, l’immagine tetra di un sistema che non esita a fagocitarti per continuare a nutrire l’appetito di pochi eletti.

Parlarne, ancora e sempre, resta l'unica prevenzione possibile.

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