Medicina

Sfida continua all’epatite

Questa malattia è cento volte più contagiosa dell’Aids Con facilità si può trasformare in cirrosi ed in forme tumorali

L’epatite, una malattia subdola, più grave di quanto si creda. Solo in Italia, la fase cronica colpisce più di centomila persone (i portatori sani sono novecentomila), ma solo ventimila sono in cura. Coloro che non si curano vanno incontro a grossi rischi: il più frequente è la cirrosi epatica, che spesso degenera verso una forma tumorale. Questa patologia è cento volte più contagiosa dell’Aids. Nell’80% dei casi il contagio avviene per via sessuale.
Il professor Antonio Craxì, cattedratico dell’università di Palermo e direttore dell’unità operativa di gastroenterologia (una delle prime sorte in Italia) parla di ««sfida continua» e sottolinea la necessità di ridurre l’azione del virus dell’epatite e di impedirne la replicazione. «Solo così - afferma - è possibile evitare cirrosi e tumori».
Negli ultimi anni, la ricerca farmacologica ha offerto importanti contributi alla terapia dell’epatite B cronica. Il rimedio più recente (nome clinico: telbivudina) ha dimostrato una maggiore potenza e rapidità nel ridurre la carica virale, stronca il virus in meno di trenta giorni e – come ha accertato lo studio Globe – ha un’azione a lungo termine. Non dà tossicità e per questo è ben tollerato dai pazienti.
Il professor Craxì raccomanda comunque di fare i controlli necessari, specialmente nei soggetti a rischio con familiari affetti da epatite, e ricorda che la malattia si contrae non solo sessualmente (80 casi su 100) ma anche attraverso scambi di sangue da strumenti non sterilizzati e perfino attraverso piercing e tatuaggi. Oggi esistono nuovi metodi diagnostici, oltre al classico esame delle transaminasi. Il più sicuro e al tempo stesso il meno invasivo è l’elastografia, che permette di misurare la consistenza del fegato: più è duro, più è malato. Quest’esame oggi affianca e spesso sostituisce la biopsia epatica, che per la sua carica invasiva è sgradita ai pazienti. Ad oggi, in Italia, la disponibilità di questi apparecchi è ancora limitata: dal Nord al Sud presto si moltiplicheranno. «Speriamo - conclude il professor Craxì - che questa opzione induca gli italiani specialmente se hanno superato i quarant’anni, a controllare il fegato. A tutti voglio ricordare che ci si può vaccinare a qualunque età, anche a settant’anni.

È stato intanto annunciato che partirà presto lo studio multicentrico Iceberg, supportato da Novartis e coordinato dal professor Mario Rizzetto dell’università di Torino, uno dei pionieri degli studi sull’epatite.

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