Cultura e Spettacoli

Il silenzio dei poeti di fronte a Gesù Bambino

Il Natale nell'arte è stato letterale: una nascita prodigiosa. Pensiamo alle natività dal Trecento in poi, e a come il supremo evento dell'incarnazione prosegue nelle meravigliose madonne col bambino, quasi a seguire l'infanzia di Cristo, dilatandone l'istante della nascita. Non è accaduto qualcosa di simile portata in letteratura, con pochissime eccezioni, sopra tutte un capolavoro assoluto, il Racconto di Natale di Charles Dickens. La storia dell'avaro misantropo Scrooge che la sera della vigilia di Natale, uscito dal suo sordido ufficio di usuraio in una Londra cupa, gelida e nebbiosa, consumato il pasto veloce nella solida laida taverna, rintanatosi nella casa ricca ma trascurata, riceve la visita di quattro spiriti divenne subito leggendaria.
Il volo di Scrooge nel tempo della sua vita, guidato dai fantasmi, il suo risveglio, la mattina di Natale, in una Londra festosa e scampanante, la sua trasformazione in un uomo buono, generoso e allegro, si inscrivono in uno dei miti più potenti creati dalla letteratura, accanto a Moby Dick, all'Isola del Tesoro, Ulisse, Orfeo, Artù, Merlino, Arlecchino, Robinson Crusoe, D'Artagnan.
Il Racconto di Natale di Dickens ha ispirato un'infinità di opere, soprattutto nel cinema, dove tra tutte spicca il capolavoro di Walt Disney, il prodigioso Canto di Natale di Topolino, che ci presenta un Paperone nei panni di Scrooge, cioè col nome datogli in origine dal suo inventore.
In Italia, oltre alle versioni ridotte, illustrate o a fumetti, ne esiste anche un'imitazione poetica: qualche anno fa scrivevo e pubblicavo appunto il mio Racconto di Natale, in versi, ispirato a quello di Dickens.
Ma a parte il capolavoro dickensiano, la letteratura non registra sul Natale risultati pari a quelli conseguiti dalla pittura. Lo conferma una peraltro bella e consigliabilissima antologia, ora in uscita da un piccolo editore serio e coraggioso, Interlinea, Natale in poesia (pagg. 158, euro 149), acutamente presentata da Luciano Erba. La raccolta di poesie sul tema natalizio dal IV al XX secolo, che include solo poeti non viventi, offre una panoramica ricca, di notevole interesse, ma testimonia nello stesso tempo una sorta di debolezza nei confronti del tema anche da parte di poeti grandissimi, come Wordsworth, Novalis, Yeats, Pound, tutti qui come vincolati a un'occasione familiare più che ispirati da un evento cosmologico, presi dall'incantesimo della nascita in una dimensione personale, lirica, piuttosto che dal prodigio dell'Incarnazione. Anche i nostri poeti maggiori, Montale, Gatto, Quasimodo, Bigongiari, restano quasi prigionieri della festa prima che dell'evento, della tradizione prima che della rivoluzionaria ierofania.
Solo la straordinaria lirica di Ungaretti e il canto dei pastori di Luzi si mantengono al livello poetico abituale dei loro autori. Persino il sommo Rilke, l'autore di un ciclo di poesie angeliche, e di un'Annunciazione che supera ogni capolavoro pittorico, sul Natale, che di quell'annunciazione è il culmine e il trionfo, esita. Se la mia opinione non è errata, credo di intuire l'origine e il segreto di tutto ciò: al pittore la nascita ispira immagini esemplari e straordinarie, animali, grotta, angeli, stelle... Il poeta in qualche misura arretra, quasi che i suoi versi non possano cogliere la totalità dell'evento.

I poeti, davanti a quella grotta, si inginocchiano come i Magi, deposti i segni regali e sapienziali, tremano come un qualunque pastore, come i poveri analfabeti incantati dall'evento.

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