Smirne, l’incendio che distrusse tutta una civiltà

L’ultimo libro della serie di Nikos Themelis sulla fine dell’impero ottomano

Un mercante dell’Epiro che scappa a Odessa con la figlia del suo socio. Un saraceno che custodisce una fortezza nell’isola di Lesbo. Uno studente greco a Lipsia che si domanda se tornare a occuparsi del podere paterno nel cuore dell’Anatolia. L’atmosfera cosmopolita della città di Smirne, odierna Izmir, sulle coste della Turchia: 150mila abitanti, la metà greci, 15mila ebrei, la buona società nei saloni dell’Hotel Kraemer, le prostitute armene nei quartieri malfamati, compagnie di assicurazione di tutta Europa che vi aprono le loro sedi, ormai più numerose di chiese e moschee.
Nikos Themelis (nato ad Atene nel 1947) aveva cominciato così la sua epopea, facendoci sentire echi e sapori di mondi perduti, nel romanzo La ricerca, pubblicato in Grecia nel 1998. Il primo di una trilogia che, dopo La svolta, ora si conclude con il monumentale L’illuminazione, appena tradotto, come gli altri due, dall’editore Crocetti (pagg. 592, euro 24, traduzione di Federica Ferrieri). Ultima tappa di una saga che qui arriva al capolinea con la rovina dell’impero ottomano e la fine della vita cosmopolita di Smirne, travolta dal fanatismo nazionalista delle due parti: i greci che partono per riconquistare Costantinopoli e l’Asia Minore e vanno incontro alla catastrofe militare; i turchi di Atatürk che, dopo aver regolato i conti con gli armeni, si liberano anche dei greci. Nel 1922, un milione e mezzo di persone, nate e cresciute in Anatolia, e che magari nemmeno sapevano dov’era Atene, sono costrette ad andarsene in Grecia. Una delle tante pulizie etniche del XX secolo, salutata dai bagliori dell’incendio di Smirne, data alle fiamme e devastata dai soldati di Atatürk.
Leggendo Nikos Themelis ci accorgiamo di quante vicende umane ci siano ignote. Non sappiamo nulla di quel mondo levantino che pure in parte è stato anche di noi italiani. Per esempio di tutti quelli, figli di anarchici o di operai, che, come Giuseppe Ungaretti, sono nati e vivevano ad Alessandria d’Egitto, oppure a Tunisi, e che poi sono stati buttati a mare o languono ancora oggi in qualche tugurio dimenticati dalla madrepatria. Anche nel romanzo di Themelis, a Smirne, un personaggio si addormenta solo quando dalla finestra aperta gli arriva la ninna nanna di un’italiana che abita di fronte. Themelis ci fa sentire tutti i suoni e i sapori di questo mondo, i vapori del bagno turco, gli odori della terra coltivata, il sudore e la salsedine, la musica delle vecchie canzoni che mescolano parole in greco, ebraico e arabo, tutti i modi per dire «benvenuto», Kalos irthate o Hos geldin, il fischio delle prime macchine a vapore.
In Grecia la trilogia di Themelis è stata un successo clamoroso, tutti e tre i libri hanno dominato le classifiche dei best seller.

Fenomeno ancora più curioso se si pensa che Themelis è approdato alla scrittura solo a cinquant’anni, dopo essere stato a lungo braccio destro e portavoce di Kostas Simitis, ex primo ministro socialista della Grecia. Lui che rievoca, con nostalgia, il mondo multietnico e multireligioso dell’impero ottomano è stato anche fra gli artefici del riavvicinamento diplomatico tra Grecia e Turchia durante il governo dei socialisti.

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