Cultura e Spettacoli

"Una fiction scomoda per questi tempi bui"

L'attrice parla di "Questo è il mio paese", in cui è una donna normale che diventa sindaco in un paesino del Sud: un successo

"Una fiction scomoda per questi tempi bui"

L'equazione è inevitabile. Tempi duri uguale tv leggera. Almeno finché la voglia di fuga dalla realtà non si trasforma in bisogno di reazione. Solo così si spiega il successo, forse inatteso (21% di share, 5 milioni di ascoltatori) di Questo è il mio paese: la serie firmata Cross Production e Raifiction, per la regia da Michele Soavi, che pur in tempi bui come questi ha offerto al pubblico (lunedì l'ultima puntata) una storia «dura e dolorosa. Eppure aggiunge la protagonista, Violante Placido - costruttiva e reattiva».Sfatato un luogo comune, dunque? Il telespettatore oberato da problemi non ha più solo bisogno di distrarsi? Vuol anche reagire?«Sembrerebbe così. Una volta, e in parte ancora adesso, alla fiction toccava soprattutto il compito di svagare, di consolare. Ma la nostra storia di una donna qualunque, che per caso finisce in politica e, divenuta sindaco di un paesino del Sud, deve misurarsi con mafia e malaffare proprio come farebbe una persona qualsiasi, di consolatorio non ha nulla. Anzi: fa male a guardarsi. Eppure evidentemente ha toccato le corde giuste».Cioè?«È stato come se attraverso il mio personaggio lo spettatore avesse trovato espressa la sua voglia di fare qualcosa; di alzare almeno la testa. Noi tutti ci chiediamo spesso: Se mi trovassi io in quella situazione, cosa farei?. Ecco: il mio sindaco è la risposta. Coi suoi limiti, certo, coi suoi errori; ma con fermezza, lei fa ciò che qualunque persona onesta, al suo posto suo, farebbe».Che reazioni ha avuto, durante la messa in onda?«Molti amici che guardano poco o nulla la tv mi hanno confessato: Stavolta non sono riuscito a farne a meno. E la mamma di una ragazza disabile, che guardava solo soap, mi ha raccontato: Le storie di contenuto civile l'annoiano. Ma a questa si è appassionata davvero. Come se la cosa la riguardasse personalmente».Il fatto che protagonista sia un sindaco donna poteva limitare l'appeal?«Sì. Perché di solito le donne in politica non piacciono molto agli uomini. Nemmeno nella fiction. E invece stavolta ci ha seguito anche una larga fetta di pubblico maschile. Che dire? Forse anche riguardo a questo bisognerebbe rivedere un po' di luoghi comuni».Eppure elementi ormai di routine nella fiction la mafia, il cittadino antieroe, i buoni che sconfiggono i cattivi - c'erano tutti. Il rischio retorica era dietro l'angolo.«Vero. Ma per evitarlo è bastato trattare la nostra storia come un racconto reale. Con sincerità, voglio dire: con umanità. E la gente deve avere avvertito il nostro sforzo. Per questo, ci si è così riconosciuta».Altro tema scomodissimo: la politica «sana» fatta dal cittadino onesto.«Ecco la disaffezione per la politica ha toccato davvero tutti, nauseato tutti. Inutile nasconderlo. Poi però, forse, si è anche capito che la politica si corrompe quando diventa un mestiere, e dimentica di essere servizio. Ma davvero tutti i politici se lo sono dimenticato? Ce ne sono di onesti, di capaci. Le dirò di più. Un altro tema di Questo è il mio paese sembra irrimediabilmente superato dagli eventi: l'orgoglio nazionale. Mentre invece, se stimolato nel senso giusto, il sentimento di appartenenza rinasce immediato. E più forte di prima».A questa domanda ha risposto finora soprattutto il cinema.«Le differenze fra cinema e fiction televisiva, a parte ovviamente quelle tecniche, diminuiscono sempre più».Conclusione?«Anche in tempi bui ci vorrebbe una tv un po' più sincera. E più scomoda.

Le favolette, le storielle divagatorie vanno bene, ma non bastano più».

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