Cultura e Spettacoli

"Adoro fare il capitano eroe. Più che inseguire Dan Brown"

L'attore, protagonista e produttore di "Captain Phillips", svela la complicata realizzazione del film sui pirati somali

"Adoro fare il capitano eroe. Più che inseguire Dan Brown"

da Los Angeles

Dopo l'unico flop della sua formidabile carriera, ovvero Larry Crown, da lui anche diretto, Tom Hanks, 57 anni, torna con grande convinzione al grande schermo con due film altisonanti, Captain Phillips e Saving Mr. Banks. Due sguardi ai due avvenimenti che più diversi non potrebbero essere: uno è l'assalto alla nave cargo americana nell'oceano indiano da parte di pirati somali nell'aprile 2009; il secondo la lunga storia della gestazione del film dedicato a Mary Poppins e le garbate schermaglie tra Walt Disney (Hanks) che lo voleva produrre e l'autrice del romanzo da cui poi venne tratto il film, P.L. Travers (Emma Thompson): una curiosa vicenda trattata con garbo e intelligenza.

È sempre divertente incontrare Tom Hanks, a Los Angeles, dove vive da sempre: intrattiene e illumina col suo proverbiale ingegno e la svelta oratoria.

Lei ha prodotto, seguito la scrittura della sceneggiatura e scelto il regista di Captain Phillips. Un amore assoluto per questa vicenda...

«Quello che accadde mi sembrò subito un film di Hollywood. Fu la prima nave americana a essere catturata dall'inizio dell'Ottocento: l'equipaggio preso in ostaggio, il braccio di ferro tra i pirati e le navi da guerra della Marina, le azioni decisive di un “uomo qualunque”, umile lavoratore, il Capitano Richard Phillips... Che film, mi son detto. E allora l'ho fatto».

Ha cominciato intervistando Phillips stesso. Che impressione ne ha tratto?

«Una bellissima persona. Non si è mai considerato un eroe, ma pensa che gli uomini siano più forti di quello che credono quando il caso lo richiede. Come me, lui spera che questo film mostri che tutti possano fare di più, che c'è una riserva di benzina in tutti noi che quasi mai usiamo».

Nel film non demonizzate i pirati...

«Come si racconta nel film, e nella storia vera, "Non siamo Al Qaeda, questo è puro business." La vicenda non tratta di terrorismo. È crimine organizzato. E come tutti i crimini organizzati, da noi come da voi, le radici storiche affondano sempre nella povertà. Abbiamo quindi cercato di capire pure il loro punto di vista».

Avete scritturato persone comune somali, non attori di professione...

«Sì, abbiamo preso immigrati di varie città americane. Sono stati molto bravi e generosi prestando il loro volto alla miseria. Ci fanno capire il livello di disperazione dei loro connazionali delinquenti, senza darci alcuna illusione che non siano pericolosi, ben inteso».

Ci parla delle riprese in mare?

«Sono state realizzate su una vera nave al largo di Malta, è stato durissimo, ma ne è valsa la pena. Non abbiamo finto nulla. Per me è difficile girare scene tipo il padre della sposa in smoking in una chiesa, fingendo per una settimana di seguito. Voglio dire che per me cinema è anche un fatto fisico. Se devo annaspare nell'acqua e salvarmi su un'isola deserta, come in Cast Away, per me la recitazione è più facile e naturale, perché non devi far finta di mostrare quanto sia difficile. Lo è e basta».

Però le piace anche la suspence, come nella serie «Il codice da Vinci» e in Robert Langdon che tornerà a interpretare presto in The Lost Symbol.

«Queste storie restano una caccia al tesoro senza grandi pretese, con un professore che fa cose alla James Bond. Nient'altro che intrattenimento ed evasione. Anche se dovrebbero sempre avere un appiglio realistico in modo che il pubblico si chieda, “Che farei io in quella situazione?“. Per me questo tipo di realismo minimo è necessario per ogni film. Anche Odissea nello Spazio ce l'ha, perché ci mette a confronto in modo affascinante con le leggi della fisica».

In Saving Mr. Banks il suo è un Walt Disney realistico...

«È tutto vero. Disney adorava il romanzo ma l'autrice, la Travers era un osso duro, non voleva che la sua visione venisse alterata. Non voleva che ci fosse musica e soprattutto animazione. Beh, abbiamo visto tutti come è finita. Canzoni stupende e i pinguini animati che ballano con lo spazzacamino. Ma alla Travers alla fine piacque molto. Il film venne realizzato nel 1963, esattamente 50 anni fa, mi sembra doveroso un omaggio.

Il mio Disney è come lui era davvero: lo zio Walt dal carisma popolare dotato di un potere di persuasione fuori del comune, insieme figura paterna, padre confessore e scaltro imprenditore».

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