Cultura e Spettacoli

Allarme a Hollywood Il cinema da Oscar non conta più niente

L'Academy e i produttori Usa costretti ad ammettere: "Un tempo i film erano centrali, ora sono culturalmente irrilevanti"

Allarme a Hollywood Il cinema da Oscar  non conta più niente

All'irrilevanza culturale del cinema italiano siamo abituati da decadi: la disaffezione generale del pubblico, soprattutto giovane, colpisce tutti i film. Tanto vero che grida al miracolo Fulvio Lucisano, produttore di Vival'Italia: la modesta commedia populista di Massimiliano Bruno, con la solita formazione Ambra-Bova-Placido-Papaleo-Gassman jr., nel weekend ha incassato un milione e mezzo di euro, superando al box-office Le belve del premio Oscar Oliver Stone. Comunicati bombastico-piagnoni di Rai Cinema a parte, spuntano zucche amare per tutti nella stagione di Halloween, perché la flessione del cinema non riguarda soltanto le sale di casa nostra, ma le sale del mondo americano, nel bene e nel male esemplare per l'universo a Occidente. Qua ci scappa un Via colvento globale, sostiene il NewYork Times, che in prima pagina mette la triste storia dei film alle prese con una fuga di mezzanotte generalizzata da parte del pubblico. «L'85esima cerimonia degli Academy Awards, il 24 febbraio, potrebbe planare in un mare d'angoscia, che riguarda i film e quanto appare come una frattura con la cultura popolare», stigmatizza Michael Cieply. E mentre i produttori nostrani analizzano le possibili cause del calo di presenze (al di sotto del 30%), senza mezzi termini si ammette che Hollywood, dietro la facciata dei lustrini, sta a pezzi. Parecchi gruppi industriali, inclusa l'Academy of Motion Picture Arts and Sciences, quella che assegna gli Oscar, e l'American Film Institute, istituzione non-profit a supporto del cinema, dietro le quinte si stanno dannando per far partire una campagna pubblica «per convincere la gente che vale ancora la pena vedere i film».
Detta così, fa impressione. Sappiamo che è tempo di grandi cambiamenti nella società, nelle persone e nelle loro abitudini (i ragazzi sono abituati a vedere film e serie tv a casa, soprattutto se piratate), ma ammettere che il cinema ha perso il suo aggancio «pop», quello che lo teneva in piedi prima della crisi, è dura. Certo, il fenomeno s'inquadra nella prospettiva di un'era «che consuma tutto in fettine sottili» e che filmoni quali Via col vento o Il Padrino, «fortemente ancorati alla consapevolezza storico-culturale del pubblico americano», hanno bisogno del grande schermo, non del tablet, o del telefonino. Però, ci sono i numeri a generare sconforto: dopo sei settimane, The Master, il film di Paul Thomas Anderson su Dianetics che a Venezia ha diviso le platee, è stato visto da 1,9 milioni di spettatori: è nulla, rispetto all'audience d'un singolo episodio di serie tv del tipo Mad Men.

Argo, il film di e con Ben Affleck in odore di Oscar, nel week end ha totalizzato 7,6 milioni di spettatori. «Dovesse crescere l'interesse, eventualmente farà l'audience di un episodio di Glee», commenta Cieply sul New York Times, rimandando al piccolo schermo. Intanto, due libri sul collasso del cinema a stelle&strisce accorrono al capezzale del morente, firmati dal critico cinematografico David Denby: il saggio Has Hollywood Murdered the Movies? («Hollywood ha assassinato i film?»)(Simon&Schuster), sull'«estetica conglomerata» della nuova tecnologia - dal laptop al tablet - e sulla resistenza di cineasti come Tarantino o i fratelli Coen, con uno sguardo alle carriere irripetibili di Joan Crawford e Otto Preminger, astri uguagliati dall'Araba Fenice Clint Eastwood, che sa come reinventarsi. Nessuna nostalgia da parte dell'autore, che scrive: «Quando parlo di spettatori, non penso ai cinefili, persone solitarie monomaniacali, bensì alla gente comune, che esce di casa coi bambini e va in sala. A loro bisogna dare un motivo per entrare in sala». Chiaro come il sole, ma mai udito in Italia.

Il saggio Do the Movies have a Future? («I film hanno un futuro?»), poi, insiste sul concetto: cioè discrepanza totale tra pubblico e cinema. Ma allora, che cosa funziona ancora, se Internet e tivù levano lavoro e s'interrompe il feeling col pubblico? Si paga ancora il biglietto per film d'azione come Taken 2, per la commedia politicamente scorretta Ted e in Cina tira il genere blockbuster eroico alla Avengers: un po' poco per un mercato abituato a sfornare 600 film l'anno. I film, d'altronde, vivono su un telone a pagamento, mentre la tivù è libera, o la paghi una volta al mese, per vedere serie sofisticate della HBO e star come Al Pacino, Dustin Hoffman, Sigourney Weaver. Il cinema muore anche a Hollywood, allora.

E l'aiutino del Fus, lì, non ce l'hanno.

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