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Altro che tutti uguali, meglio tutti più ricchi

Frankfurt: ridurre le differenze di reddito non è un ideale morale. Il problema è invece che troppi sono poveri

Altro che tutti uguali, meglio tutti più ricchi

In un recente discorso sullo stato dell'Unione, il presidente Barack Obama ha dichiarato che la disuguaglianza di reddito è «la sfida che definisce la nostra epoca». A me sembra, invece, che la sfida fondamentale per noi non sia costituita dal fatto che i redditi degli americani sono ampiamente disuguali, ma dal fatto che troppe persone sono povere.Dopo tutto, la disuguaglianza di reddito potrebbe essere drasticamente eliminata stabilendo semplicemente che tutti i redditi devono essere ugualmente al di sotto della soglia di povertà. Inutile dire che un simile modo di ottenere l'uguaglianza dei redditi - rendendo tutti ugualmente poveri - presenta ben poche attrattive. Eliminare le disuguaglianze di reddito non può quindi costituire, di per sé, il nostro obiettivo fondamentale.Accanto alla diffusione della povertà, un altro aspetto dell'attuale malessere economico è il fatto che, mentre molte persone hanno troppo poco, ce ne sono altre che hanno troppo. È incontestabile che i molto ricchi abbiano ben più di ciò di cui hanno bisogno per condurre una vita attiva, produttiva e confortevole. Prelevando dalla ricchezza economica della nazione più di quanto occorra loro per vivere bene, le persone eccessivamente ricche peccano di una sorta d'ingordigia economica, che ricorda la voracità di chi trangugia più cibo di quanto richiesto sia dal suo benessere nutrizionale sia da un livello soddisfacente di godimento gastronomico.Tralasciando gli effetti psicologicamente e moralmente nocivi sulle vite degli stessi golosi, l'ingordigia economica offre uno spettacolo ridicolo e disgustoso. Se lo accostiamo allo spettacolo opposto di una ragguardevole classe di persone che vivono in condizioni di grande povertà economica, e che perciò sono più o meno impotenti, l'impressione generale prodotta dal nostro assetto economico risulta insieme ripugnante e moralmente offensiva.Concentrarsi sulla disuguaglianza, che in sé non è riprovevole, significa fraintendere la sfida reale che abbiamo davanti. Il nostro focus di fondo dovrebbe essere quello di ridurre sia la povertà sia l'eccessiva ricchezza. Questo, naturalmente, può benissimo comportare una riduzione della disuguaglianza, ma di per sé la riduzione della disuguaglianza non può costituire la nostra ambizione primaria. L'uguaglianza economica non è un ideale moralmente prioritario. Il principale obiettivo dei nostri sforzi deve essere quello di rimediare ai difetti di una società in cui molti hanno troppo poco, mentre altri hanno le comodità e il potere che si accompagnano al possedere più del necessario.Coloro che si trovano in una condizione molto privilegiata godono di un vantaggio enorme rispetto ai meno abbienti, un vantaggio che possono avere la tendenza a sfruttare per esercitare un'indebita influenza sui processi elettorali o normativi. Gli effetti potenzialmente antidemocratici di questo vantaggio vanno di conseguenza affrontati attraverso leggi e regolamenti finalizzati a proteggere tali processi da distorsioni e abusi.L'egualitarismo economico, secondo la mia interpretazione, è la dottrina per cui è desiderabile che tutti abbiano le stesse quantità di reddito e di ricchezza (in breve, di «denaro»). Quasi nessuno negherebbe che ci sono situazioni in cui ha senso discostarsi da questo criterio generale: per esempio, quando bisogna offrire la possibilità di guadagnare compensi eccezionali per assumere lavoratori con capacità estremamente richieste ma rare. Tuttavia, molte persone, pur essendo pronte a riconoscere che qualche disuguaglianza è lecita, credono che l'uguaglianza economica abbia in sé un importante valore morale e affermano che i tentativi di avvicinarsi all'ideale egualitario dovrebbero godere di una netta priorità.Secondo me, si tratta di un errore. L'uguaglianza economica non è di per sé moralmente importante e, allo stesso modo, la disuguaglianza economica non è in sé moralmente riprovevole. Da un punto di vista morale, non è importante che tutti abbiano lo stesso, ma che ciascuno abbia abbastanza. Se tutti avessero abbastanza denaro, non dovrebbe suscitare alcuna particolare preoccupazione o curiosità che certe persone abbiano più denaro di altri.Chiamerò questa alternativa all'egualitarismo «dottrina della sufficienza», vale a dire la dottrina secondo cui ciò che è moralmente importante, con riferimento al denaro, è che ciascuno ne abbia abbastanza.Naturalmente, il fatto che l'uguaglianza economica non sia di per sé un ideale sociale moralmente cogente non è una ragione per considerarla un obiettivo insignificante o inopportuno in qualsiasi contesto. L'uguaglianza economica può avere infatti un importante valore politico e sociale e possono esserci ottime ragioni per affrontare i problemi legati alla distribuzione del denaro secondo uno standard egualitario. Perciò, a volte, può avere senso concentrarsi direttamente sul tentativo di aumentare l'ampiezza dell'uguaglianza economica piuttosto che sul tentativo di controllare fino a che punto ognuno abbia abbastanza denaro.Anche se l'uguaglianza economica, in sé e per sé, non è importante, impegnarsi ad attuare una politica economica egualitaria potrebbe rivelarsi indispensabile per promuovere la realizzazione di vari obiettivi auspicabili in ambito sociale e politico. Potrebbe inoltre risultare che l'approccio più praticabile per raggiungere la sufficienza economica universale consista, in effetti, nel perseguire l'uguaglianza. E ovviamente, il fatto che l'uguaglianza economica non sia un bene in sé lascia comunque aperta la possibilità che abbia un valore strumentale come condizione necessaria per ottenere beni che posseggono, questi sì, un valore intrinseco.Pertanto, una distribuzione di denaro più egualitaria non sarebbe sicuramente criticabile. Tuttavia, l'errore assai diffuso di credere che esistano potenti ragioni morali per preoccuparsi dell'uguaglianza economica in quanto tale è tutt'altro che innocuo.

Anzi, a dir la verità, tende a essere una credenza piuttosto dannosa.(2015 Princeton University Press2015 Ugo Guanda Editore Srl)

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