Cultura e Spettacoli

«Appuntamento a Trieste» e con la storia d'Italia

Nel Dopoguerra, una città in bilico fra Ovest ed Est e un amore che sconfigge la morte...

Daniele Abbiati

Nella premessa al suo romanzo Non rimanere soli, Giorgio Scerbanenco esordisce con questa frase: «Un romanzo può anche essere utile». E poi spiega: non utile a voi, lettori, ma a me che l'ho scritto, perché questo libro mi è servito a tener duro nel campo di concentramento dov'ero rinchiuso (a Büsserach, in Svizzera, nel Canton Soletta). Non rimanere soli non è soltanto un titolo di spicco nella bibliografia di Scerbanenco, è anche il comandamento numero uno della sua poetica, una poetica fatta di persone, non di personaggi, perché negli uomini e nelle donne che popolano i suoi libri non c'è mai nulla di scenografico, nulla viene loro aggiunto come eccipiente o come conservante, nulla ha il sapore del promemoria, proprio perché tutto è memoria.

Non rimanere soli è scritto a tambur battente, il tamburo della guerra, nel 1943, infatti uscì prima a puntate sul Corriere del Ticino dal 15 maggio al 22 settembre del '45 e subito dopo, nello stesso anno, in Italia dall'editore Gnocchi di Milano. E ha un fratello di sette anni più giovane, del '52, anch'esso uscito a puntate, su Novella. Si chiama Appuntamento a Trieste, e viene ora riproposto da La nave di Teseo con la Prefazione di Cecilia Scerbanenco, figlia dell'autore (pagg. 298, euro 17). Qui la guerra è da poco passata, ma non è finita. Se gli eserciti hanno esaurito il loro compito, le spie restano in piena attività, dall'una e dall'altra parte. E a pagina 266, quando i giochi sono quasi fatti, l'autore dà l'ultima pennellata a Riccardo, la figura meglio riuscita dell'intera vicenda, proprio nel momento in cui il giovane accetta di stare al suo posto, da «amico», e di non intralciare il percorso di un amore nato prima del suo e che dunque ha la precedenza. «Non era solo: nessuno è solo se ama gli altri». Ecco, anche in Appuntamento a Trieste Scerbanenco ci ricorda che l'importante è avere qualcuno da amare, per non rimanere soli.

«Un romanzo può anche essere utile» lo diciamo ora noi, da lettori. Utile, in questo caso, per rileggere una pagina della storia d'Italia, una storia di confine, in cui Trieste, quando Scerbanenco scrive, non è ancora tornata a casa, in Italia. Lì, in bilico fra due mondi, l'Ovest e l'Est, Diana e Kirk, agente statunitense sotto copertura, si amano ancora, nonostante lui sia... morto. Ha infatti subìto un agguato dai nemici jugoslavi, ed è bene che loro, i rossi, s'illudano di averlo eliminato, perché così i suoi uomini potranno lavorare meglio, potranno debellare il virus. Si amano, Diana e Kirk, ma a distanza, e soltanto con il ricordo, perché la notizia della morte del capitano Kirk e del rimpatrio della sua salma negli Usa è stata opportunamente diffusa e deve valere per tutti, anche per gli amici, anche per il suo amore. Così per entrambi, Diana e Kirk, la vita è diventata morte. Ma entrambi hanno dalla loro parte qualcuno che li ama: Diana ha Riccardo, l'amico d'infanzia al quale lei adesso può, deve appoggiarsi, per mantenere accesa la fiammella della speranza che le scalda l'anima e le sussurra che Kirk è vivo, deve essere vivo; e Kirk ha Bet, una agente del suo gruppo, ma molto più di una semplice collega.

E anche di là, dall'altra parte del mondo, oltre il confine della libertà, ci sono cuori che battono senza che nessuno li ascolti. C'è Bella, soprattutto, sorella di Vsic, il capo delle «cimici» nemiche. Lei sta a Verona, ostaggio del fratello che considera pericolosa la sua instabilità mentale. E proprio a Verona il caso vuole che Riccardo trovi lavoro, dopo aver scortato Diana nell'idillico rifugio di un paesino montano sopra il lago di Garda, come in una convalescenza. Ed è il combinato disposto di quelle due sensibilità femminili, di Diana e di Bella, a disegnare una trama che è come il mare: anche se agitato dalla bora, possiede sempre lo stesso orizzonte...

Ciò che è lontano sembra vicino, ciò che è vicino sembra lontano.

E il capitano Scerbanenco conduce come sempre la nave del suo romanzo a un sicuro approdo.

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