Cultura e Spettacoli

Aver ragione via web Benvenuti nell'epoca della postverità

Gianluca Barbera

La postverità, ossia la liberalizzazione selvaggia della verità, è «l'essenza della nostra epoca, proprio come il capitalismo costituì l'essenza dell'Ottocento e del primo Novecento e i media sono stati l'essenza del Novecento maturo». È quanto sostiene Maurizio Ferraris in Postverità e altri enigmi (Il Mulino, pagg. 182, euro 13), secondo il quale il fenomeno affonda le radici nel principio costitutivo del postmoderno, enunciato da Nietzsche: «Non ci sono fatti, solo interpretazioni». Un principio potentissimo, capace «di mettere parole come verità e realtà tra virgolette, quasi fossero nozioni improprie o comiche», se non addirittura pericolose, e dunque da «abbandonare in nome della moralità, dei buoni sentimenti, della politica democratica». È così che la postverità finisce per diventare la ragione del più forte, di colui che ha più seguito, che ottiene più clic.

L'ideologia che anima la postverità è dunque «l'atomismo di milioni di persone convinte di aver ragione non insieme (come credevano, sbagliando, le chiese ideologiche del secolo scorso) ma da sole». Una sorta di «plancton disperso nell'oceano del web e composto da piccole tribù o da individui isolati, ognuno portatore delle proprie convinzioni, e anzitutto di quella, fondamentale, secondo cui uno vale uno».

«Sebbene sia forte la tentazione di dire che menzogne e bufale sono sempre esistite», Ferraris è convinto che la postverità sia un concetto nuovo e dirompente, in quanto «definisce le caratteristiche essenziali dell'opinione pubblica contemporanea» e realizza una saldatura tra «la potenza modernissima del web e il più antico dei desideri umani, quello di avere ragione a tutti i costi», consentendo il diffondersi di presunte verità che nulla hanno a che fare con l'oggettività e la razionalità ma che riguardano piuttosto la sfera delle emozioni (importa ciò che sentiamo, non ciò che sappiamo) e la solidarietà dei popoli contro la dittatura degli esperti e le macchinazioni delle élite e dei «poteri forti». Di qui l'enfasi posta sulla necessità di ricorrere a «fonti indipendenti», capaci di far emergere verità alternative, verità vere. Abbiamo smesso così «di credere nell'Aldilà o nella stregoneria» ma solo per convincerci «che i vaccini provochino l'autismo», ironizza Ferraris.

Quand'anche saltasse fuori che siamo sommersi dalle frottole, poco importa, dal momento che il postruista dà scarsa importanza «al mondo esterno e molta alle proprie private convinzioni, dunque il rischio dello sbugiardamento appare una possibilità remota, che conta pochissimo rispetto alla soddisfazione concreta e immediata del pontificare che di lì a poco convince anche il bugiardo, che imbocca la strada della mitomania».

La postverità, osserva Ferraris, rappresenta la paradossale attuazione di un principio della Carta delle Nazioni Unite: ognuno deve poter esprimere la propria opinione. Peccato ci si sia dimenticati di aggiungere: purché l'opinione sia ragionevole. Ma, se la tecnologia ha prodotto questo caos, è grazie a essa che possiamo venirne fuori.

Che vi siano fatti è innegabile, afferma Ferraris; e la tecnologia (il suo buon uso) deve aiutarci a illuminarli.

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