Cultura e Spettacoli

Il bambino Steven racconta com'è diventato Spielberg

Il regista americano nell'autobiografico "The Fabelmans" ancora una volta affronta il difficile rapporto madre-figli

Il bambino Steven racconta com'è diventato Spielberg

Roma. Il più grande spettacolo del mondo. È The Fabelmans, il nuovo, straordinario film di Steven Spielberg, presentato ieri in anteprima italiana alla Festa del Cinema di Roma in accordo con la sezione autonoma dedicata ai più giovani Alice nella città, in uscita per Natale, il 22 dicembre, nelle sale distribuito da 01 con Rai Cinema e Leone Film Group. Ma appunto il trentaquattresimo film di Spielberg inizia con il protagonista bambino che a otto anni viene portato dai genitori per la prima volta al cinema dove danno proprio Il più grande spettacolo del mondo di Cecil B. DeMille con la famosa sequenza dei treni che si scontrano e che ossessionerà il piccolo, un po' come all'inizio della storia del cinema, nel 1896, gli spettatori di fronte al corto dei fratelli Lumière L'arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat. Tanto che si trasformerà in un regista in erba rimettendo in scena, con i trenini casalinghi, quello scontro.

Naturalmente il riferimento del piccolo di casa Fabelman, una famiglia ebrea, a Steven Spielberg, di famiglia ebrea, non è casuale perché il film è una sorta di sua autobiografia forse neanche troppo romanzata, dato che ha aspettato che morissero entrambi i genitori, il film infatti è dedicato ad Arnold, il padre, l'ultimo a mancare nel 2020. Ad aiutarlo a compiere la difficile impresa, sicuramente anche catartica, è stato lo sceneggiatore premio Pulitzer Tony Kushner, col quale aveva già lavorato in Munich e in Lincoln.

Ciò che è presente in tutti i film del regista, nato a Cincinnati in Ohio 76 anni fa, il prossimo 18 dicembre, ma che si è trasferito, come il protagonista del film per via del lavoro del padre ingegnere che vuole guadagnare sempre di più (sono gli anni in cui il sogno americano è reale), tra il New Jersey, l'Arizona, per finire in California, e cioè il conflitto dei bambini con il mondo degli adulti, la figura assente dei padri compensata da quella più amorevole delle madri, è raccontato in The Fabelmans per filo e per segno. Spielberg si addentra nella sua memoria impressa nella pellicola che usava per fare i primi filmini, prima solo riprendendo la famiglia, poi con le prime messe in scena di battaglie (Escape to Nowhere si intitola il primo film girato con gli scout) che riprenderà, con la stessa passione e maestria, ma con molti più soldi, in film capitali come Salvate il soldato Ryan.

Proprio durante il montaggio in moviola di un tranquillo weekend di campeggio nota che la madre, superbamente interpretata da Michelle Williams, ha sguardi e intese particolari più per l'amico di sempre di famiglia, «zio» Benny appunto (Seth Rogen), che per il padre interpretato da Paul Dano che già ipoteca il suo primo Oscar da protagonista.

La storia si fa dunque immediatamente universale perché gioca sugli elementi basilari della vita di ognuno di noi. Il giovane Sammy Fabelman, interpretato da piccolo da Mateo Zoryon Francis-DeFord e, da diciottenne, da Gabriel LaBelle, sogna di fare il regista ma il padre continua a parlare di «hobby» mentre l'unica che crede in lui è la mamma. Il racconto di questa figura femminile, fragile e forte allo stesso tempo, complessa e molto moderna, è una delle cose più struggenti che il cinema abbia prodotto in molti anni. Poi ci sono le tre sorelle, le diverse scuole dove ricominciare tutto daccapo, tanto che in una viene bullizzato perché ebreo, dunque, come tanti, anche oggi, un diverso. Proprio sulla questione religiosa, Spielberg usa i toni più comici, nella rappresentazione yiddish della famiglia con la nonna e lo zio, che si trasformano in quelli quasi dissacranti, ed è un elemento nuovo nel suo cinema, nel ritratto della prima fidanzatina supercattolica, con il crocifisso e le immagini «così sexy» di Gesù in camera.

The Fabelmans è dunque un «coming of age» di un ragazzo che ha fatto la storia del cinema inseguendo un sogno. È cinema classico allo stato puro come quello prodotto dal regista con la benda che il giovane Spielberg incontrerà in un ufficio di una major e che gli insegnerà a posizionare la macchina da presa con la giusta prospettiva sull'orizzonte.

Dell'arte e della vita.

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