Cultura e Spettacoli

"Blair Witch", il ritorno al cinema della celebre strega è una delusione

Un ibrido tra il sequel e il reboot che in fondo è solo l'inutile rimaneggiamento fuori tempo massimo di una pellicola cult

"Blair Witch", il ritorno al cinema della celebre strega è una delusione

Era il 1999 quando "The Blair Witch Project", il primo film promosso pressoché interamente su internet, cambiò il mondo degli horror. Regalò, infatti, al genere la nuova prospettiva del finto documentario, con scene riprese con la telecamera a mano. Il budget era irrisorio, sessantamila dollari ma, grazie al marketing virale della Rete, il film divenne uno dei più grandi successi horror degli ultimi vent'anni. Quando una pellicola ha un così grande impatto e consenso di pubblico a fronte di un investimento quasi inesistente e diventa un cult, prima o poi qualcuno si assume il rischio di girarne un sequel, in modo da sfruttare la notorietà dell'originale. In questo caso sono trascorsi quasi due decenni ma ecco uscire "Blair Witch", opera a metà tra un secondo capitolo e un reboot.

L'intreccio, di una semplicità disarmante, si snoda alla stessa identica maniera di quello dell'opera precedente. In questo caso, però, abbiamo James Donahue, fratello di una delle vittime del primo film, che vuole fare luce su cosa sia avvenuto nei boschi del Maryland tanti anni prima. Si reca quindi dove si consumò l’orrore, alla ricerca della verità, con alcuni amici e con due ragazzi del posto. Il gruppo, accampato di notte nei luoghi collegati alla leggenda della strega di Blair, è presto visitato da una presenza minacciosa e diventa testimone di fenomeni inspiegabili e sempre più pericolosi.

Non importa aver visto "The Blair Witch Project" per fruire di questo "Blair Witch". La sensazione è di trovarsi di fronte quasi a un clone dell'originale o, perlomeno, a un rifacimento imbevuto di qualche nuovo dettaglio in grado di rendere la pellicola ambientata ai giorni nostri. I personaggi, infatti, sono dotati di equipaggiamenti tecnologici moderni come un drone, un GPS e una piccola telecamera ciascuno, posizionata chi sull'orecchio, chi sulla fronte. A questo proposito, se c'è un fenomeno paranormale che lascia basiti è la durata infinita delle batterie di tale attrezzatura.

Il montaggio delle varie visuali in prima persona dovrebbe, in teoria, rendere ancora più avvolgente l'immedesimazione dello spettatore nel senso di smarrimento e di costante pericolo provato da ognuno dei protagonisti ma, nella realtà, ottiene l'effetto contrario. Nulla di più depotenziante del saltare continuamente da una prospettiva all'altra e sempre con una visione traballante di cosa si ha di fronte. L'effetto è più di mal di mare che altro, senza contare la confusione nel trovarsi nella soggettiva ora dell'uno, ora dell'altro, di questi ragazzi dalle caratterizzazioni quasi intercambiabili. Il risultato è incredibilmente artificioso. Siamo lontani dal senso di mistero costruito con pazienza, attraverso sottigliezze e ambiguità, che caratterizzò l'originale. Nel buio dei boschi, senza alcun brandello di spiegazione, in compagnia di personaggi a dir poco monodimensionali, lo spettatore è tenuto desto da qualche jumpscare, ossia salto a buon mercato. Ci sono scorci di tensione e di orrore atti a scongiurare la noia, ma è tutto convenzionale, privo della potenza e creatività che aveva giustificato il successo del primo film.

Francamente, un'opera maldestra e tardiva di cui si poteva fare a meno.

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