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C'è un "Alien" in tutti noi, incontrarlo nello spazio è del tutto sconsigliabile

Ridley Scott alle origini della saga che cambiò horror e fantascienza: "Volevo un film tosto..."

C'è un "Alien" in tutti noi, incontrarlo nello spazio è del tutto sconsigliabile

«Volevo un film tosto, vietato ai minori. E mi serviva un sacco di rosso, che è il mio modo di dire: sangue». Parla così Ridley Scott del suo Alien: Covenant, sesto episodio della leggendaria saga creata dal regista inglese nel 1979, in anteprima italiana al Future Film Festival di Bologna e nelle sale da giovedì con 20th Century Fox. Missione compiuta: di sangue ne scorre a fiumi, tra arti mozzati, corpi fatti a pezzi, schiene squarciate, teste che galleggiano e ventri spalancati da orrende creature aliene. «Spero che il film metta a disagio lo spettatore, renda secca la bocca e accelerato il battito cardiaco. Ho sempre pensato al primo Alien come a un B-movie ben riuscito: sette persone claustrofobicamente chiuse in una casa del terrore, una corsa in sottrazione a capire chi sarà la prossima vittima e chi, invece, sopravviverà», spiega il regista di Blade Runner (1982), che a 79 anni ben portati continua a elaborare con classe l'orrore fantascientifico. Nello spazio nessuno può sentirti urlare e allora tornino gli alieni, dentro una storia collocata tra Prometheus (2012), sempre di Scott, e l'Alien originale, capofila del genere horror, in una combinazione sofisticata di prequel e sequel che urtica l'immaginario. Tra gli Xenomorfi, extraterrestri letali e il ritorno di Michael Fassbender nel doppio ruolo dell'androide David e del nuovo «modello» non umano Walter, sangue e mistero atterriscono. È consigliato tenere i pop corn a portata di mano, per uno degli appuntamenti più attesi della stagione.

Il fatto è che Sir Scott crede davvero negli alieni, tanto da descriverli quasi fossero noti vicini di casa immersi in una tempesta di ioni, dove tutto appare grigio e appannato, come in un'alba o un tramonto costante. «Se vedete qualcosa di grosso nel cielo, datevela a gambe: gli alieni sono molto più intelligenti di quanto possiamo immaginare. Ma io non mi faccio spaventare, ho la mia 9 mm», scherza l'autore, che venerdì, all'anteprima mondiale a Londra, è apparso tonico e sicuro di sé, accanto alla moglie Giannina Facio, ex-starlette della Costarica, negli anni Ottanta affascinante presenza nel televisivo Drive in. I primi commenti arrivati via Twitter rassicurano circa il gradimento dei fan, che definiscono il film «intenso», «sanguinolento» e «complesso», amando soprattutto l'immissione di nuovi personaggi. Certo, è difficile non farsi prendere dall'angosciosa narrazione, piena di sottotesti filosofico-esistenziali.

«Alien: Covenant si apre con una pacifica missione scientifica destinata a portare l'umanità oltre i confini della terra, in una colonia tra le stelle. A bordo del vascello da esplorazione, un'astronave claustrofobica dai soffitti bassi e con i corridoi avvolti nell'oscurità, viaggiano le coppie che popoleranno il pianeta Origae-6, insieme a dozzine di embrioni che devono impiantare nuove colonie. Con loro c'è anche il non-umano Walter (il 40enne Fassbender, attore-feticcio di Scott, che l'ha usato in Prometheus: è l'unico sopravvissuto del cast del capitolo quinto), in pratica un super-maggiordomo creato per proteggere e servire. La nuova eroina dell'Alien originale è l'atletica Katherine Waterstone, alta e androgina come Sigourney Weaver, mitica Ripley dell'episodio-madre: venendo dal teatro, mostra tutti i colori della paura. Billy Cudrup fa il vice capitano, che decide d'andare a visitare Oram, pianeta abitabile e più vicino della meta prestabilita. Per quanto paradisiaco, Oram si rivela infestato dal Neomorfo, ultima incarnazione aliena della saga, che inizia un gioco al massacro. Al viso di chi si attaccherà questo polipo che sbuca dal petto, deciso a ibridarsi con una forma di vita umana? «Spaventare è difficile. Continuare a far inseguire la gente dal mostro per i corridoi, è noioso. Allora ho capito che volevo esplorare le origini di Alien», chiarisce Scott, che ha girato a Milford Sound, in Nuova Zelanda, con luci soffuse, nuvole e pioggia battente, per evocare l'atmosfera pittorica del 18esimo secolo. Perché non c'è blockbuster senza spunti di riflessione: dal concetto di suprematismo al rapporto tra creatore e creatura, all'incertezza del futuro, a volte si gira a vuoto.

Meglio concentrarsi sulle scene di combattimento ad alta tensione e al duetto di Fassbender con se stesso.

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