Cultura e Spettacoli

Cancellare per scoprire Isgrò omaggia Manzoni e Milano omaggia Isgrò

Una mostra su tre sedi per un artista centrale che sa coniugare il concettuale alla bellezza

Cancellare per scoprire Isgrò omaggia Manzoni e Milano omaggia Isgrò

Cancellare non significa necessariamente negare o oscurare. Può essere anzi l'escamotage per evidenziare un concetto o una parola e renderlo, sembra un paradosso, ancor più visibile.

Su questo gesto, così semplice e al contempo assoluto, Emilio Isgrò ha costruito buona parte della propria fortuna critica, ma sarebbe alquanto riduttivo limitarne il lavoro a tale episodio. L'artista nato in Sicilia nel 1937, ormai meneghino di adozione, ha in realtà un repertorio molto più vasto e complesso, che la grande antologica milanese in tre sedi Palazzo Reale, Gallerie d'Italia, Casa Manzoni - testimonia con dovizia in oltre 200 opere, per la cura attenta di Marco Bazzini. Ne viene fuori, finalmente, la complessità articolata di Isgrò nelle grandi installazioni, nell'affrontare all'inizio della carriera la poesia visiva e le prove più concettuali come Dichiaro di essere Emilio Isgrò, fino alla ricostruzione di alcuni cicli particolari, quali la Trilogia dei censurati dedicata a Pico della Mirandola, Galileo, Savonarola e Malaparte, e poi L'ora italiana, La veglia di Bach, opere degli anni '80, quindi le più celebri cancellazioni, che ci sono tutte, dalla Treccani del '76 alla Costituzione italiana del 2010 fino a quella del Debito pubblico, l'anno successivo. La più attesa è però quella installata nel Caveau di Intesa SanPaolo alle Gallerie d'Italia (supporter dell'operazione e prestatore di parecchi lavori tra cui molto importanti L'ora italiana e Chopin), con un innovativo strumento che alza e abbassa l'opera per facilitarne la visione: lì Isgrò ha cancellato il ritratto di Alessandro Manzoni che fu dipinto da Hayez, mentre nell'attigua Casa Manzoni presenta un altro omaggio al più grande scrittore italiano dell'800, cancellando parti del suo capolavoro, ovviamente I promessi sposi.

Appena un paio d'anni fa Emilio Isgrò venne indicato, da un referendum, come l'artista dell'anno. E nel 2015 la sua scultura Seme dell'altissimo fu scelta tra i simboli dell'Expo. Ciò ha permesso di leggerne nella sua importanza la poetica, originale e inconfondibile, di un autore che nasce concettuale pur condividendo poco o nulla con la matrice fredda degli angloamericani ma aprendo invece a impreviste zone calde, intrise di pensiero umanista e mediterraneo. E rendere persino popolare un tipo d'arte solitamente elitaria.

Le prime cancellature di Emilio Isgrò, peraltro, datano 1964. In oltre mezzo secolo, Isgrò ha cancellato tutto quello che poteva essere stampato su libri, mappe, articoli di giornale, testi sacri. Altre volte ha isolato particolari di immagini con il medesimo spirito. Si conosce meno, ma è altrettanto importante, la sua attività in campo letterario e critico, dapprima in età giovanile da lettore, quindi poeta, romanziere, saggista e articolista.

Quello di Isgrò è un lavoro lungo, paziente, silenzioso, metodico e soprattutto necessario. Tipico della generazione di artisti emersi tra gli anni '60 e i '70 considerare come fondamentale la componente etica dell'opera. Ecco dunque la necessità di una teoria che alimenti un gesto e che per tutti i suoi interventi, ma soprattutto per la cancellatura, Isgrò ha più volte ripreso, spiegando con un'immagine molto suggestiva di praticarla frequentandola «con la passione di un monaco ossessionato dai reumi e dall'inchiostro di china» (lo ha detto nell'ormai lontano 1987). Acuta l'osservazione di Bazzini nel testo critico: «chiarezza di visione e fiducia nell'arte a Isgrò non sono mai mancate. A guidarlo, passaggio dopo passaggio, verso l'affermazione del suo originale modo di relazionarsi con il mondo sono stati il suo vigore intellettuale e il suo istinto da grande artista, caratteri che gli hanno permesso di muoversi in disarmonia con le idee dominanti e di demolire ogni luogo comune, nell'arte come nella vita. Il suo è un procedere labirintico che non è possibile imbrigliare in alcun gruppo o definizione, nonostante, in questi anni, sia stato in apparente sintonia con molte delle tendenze che nella seconda metà del 900 hanno impresso nuovi processi estetici».

Uomo dai toni pacati, la voce dolce e suadente come solo un galantuomo siciliano sa usare, Isgrò è davvero un artista centrale dei nostri anni, proprio perché è riuscito a unire la componente teorica con la piacevolezza estetica, il fermo rigore della ricerca a situazioni sempre sorprendenti, segno di una curiosità intellettuale davvero inesausta.

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