Cultura e Spettacoli

«Cercare i funghi mi ha salvato dal dolore Il bosco è il luogo per trovare pace interiore»

L'autrice ha fatto della micologia una cura per l'anima dopo la morte del marito

Eleonora Barbieri

Long Litt Woon è nata sessantuno anni fa in Malesia e vive in Norvegia da quando era una studentessa. Antropologa, a Oslo ha incontrato anche l'amore della sua vita, il marito Eiolf. Poi lui è morto all'improvviso, nel 2010, lasciandola con un vuoto immenso e un dolore paralizzante. Long Litt Woon ha trovato un modo tutto suo di vivere senza Eiolf: si è messa a studiare i funghi, a cercarli per i boschi e i prati, a raccontarli come una avventura, e una terapia insieme. Ne è nato un piccolo caso editoriale, tradotto in quattordici lingue: La via del bosco. Una storia di lutto, funghi e rinascita (Iperborea, pagg. 272, euro 18,50).

Come ha scoperto la passione per i funghi?

«Per caso, iscrivendomi a un corso di micologia dopo la morte di mio marito, in cerca di qualcosa, qualsiasi cosa, che potesse darmi un po' di sollievo dal dolore del lutto».

È una materia ostica?

«Nel corso norvegese ci sono tre livelli, quindi puoi fermarti quando vuoi. Per me, la parte più difficile è stata imparare ad annusare i funghi e a distinguere gli odori. È un po' come con il vino, devi costruirti una banca della memoria degli odori e, anche, avere le parole per descriverli».

Davvero i funghi l'hanno aiutata a guarire dal suo dolore?

«Il mio libro racconta proprio questo, come i funghi, l'andare in cerca di funghi e le persone dell'ambiente mi abbiano, tutti, aiutato a elaborare il lutto».

Come?

«I funghi hanno fatto tre cose: mi hanno portato gioia in un periodo di buio; quando ho deciso di prendere il diploma di micologia mi hanno dato una direzione e uno scopo, in un momento in cui il mio mondo era senza significato; mi hanno dato una nuova identità, insegnandomi qualcosa di nuovo e permettendomi di fare esperienza della natura in modo diverso e di farmi nuovi amici».

Scrive che hanno «risvegliato» i suoi sensi. In che modo?

«Nella foresta, tutti i nostri sensi sono innescati: il suono degli uccelli che cantano, il vento fra le foglie, il profumo degli alberi, il tocco del muschio e della vegetazione bassa... E, quando uno raccoglie un fungo, tutta l'esperienza sensoriale è ancora più amplificata, perché l'identificazione di un fungo dipende proprio dall'utilizzo dei sensi, in particolare l'olfatto».

Quali sono i posti più strani in cui ha trovato dei funghi?

«Beh, Central Park, a New York, è sicuramente un posto inusuale per andare a caccia di funghi: è stato fantastico farlo con Gary Lincoff come guida, un uomo colto e divertente che purtroppo è mancato. E poi sono stata anche due settimane a cercare funghi in Cile, in un viaggio dalla Patagonia fino al Nord, attraversando molte zone climatiche e paesaggi diversi».

Il suo fungo preferito?

«La spugnola. Credo che abbia un sapore buonissimo. E poi è un fungo molto antico, che esisteva già all'epoca dei dinosauri, e anche questo mi piace».

Uno che l'ha stupita?

«L'Agaricus bisporus, cioè il comune champignon che si trova al supermercato. Ma quello è allevato... Quello selvatico è molto, molto più gustoso».

Ci sono differenze «culturali» nel mondo dei funghi?

«C'è un fungo, il matsutake, che i norvegesi non amano per niente, mentre in Giappone è considerato pregiatissimo».

Che cosa l'ha conquistata in quel corso di micologia?

«Il mondo dei funghi è aperto a chiunque sia interessato a imparare, fare esperienza camminando nei boschi, raccogliere cibo selvatico, farsi nuovi amici, viaggiare... È un hobby che può rigenerare il corpo, il cuore e l'anima».

Crede che una attività così tradizionale possa diventare una specie di terapia, in un mondo come il nostro?

«Assolutamente sì».

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