Cultura e Spettacoli

"Cercavamo un'atleta... E poi Pamela Anderson è apparsa a Baywatch"

L'autore della serie, tornata in onda su Spike, racconta come l'attrice scatenò orde di fan

"Cercavamo un'atleta... E poi Pamela Anderson è apparsa a Baywatch"

Fai presto a dire il colore più acceso del mare e della sabbia dorata di Malibù. E a dire che, con una colonna sonora inedita, ricca di trecento nuove canzoni, l'appetito dei collezionisti sale. La verità è che il gioco si fa serio quando entra in scena Lei: da fine gennaio la serie Baywatch è in onda su Spike (canale 49 del digitale terrestre) in versione «remastered», ma è in questi giorni, con l'arrivo della Stagione 3, che le avventure dei mitici bagnini sfoggiano la presenza di C.J. Parker, volto e che corpo di Pamela Anderson. Duecentocinquantadue ottimi motivi per restare incollati alla serie, distribuiti in verticale e per l'esattezza così: 100-60-92, fate voi le somme. Che queste tornassero se ne accorsero subito gli autori di Baywatch, Michael Berk in testa.

Un abito nuovo per Baywatch, anche nella musica: come mai?

«Per motivi finanziari. Quando la serie nacque nel 1989 era difficile trovare artisti disposti a concedere brani per gli episodi. Poi, col successo, tutto cambiò: nomi come Seal e Enya entrarono in classifica Usa grazie a noi. Oggi, riportare la serie nel mondo avrebbe comportato una spesa per i diritti musicali enorme. La soluzione? Arruolare l'autore della sigla Cory Lerios insieme a suo figlio Michael a capo di un team di compositori».

Baywatch si interruppe con un flop, poi ripartì trasformandosi in successo: 1,1 miliardi di spettatori a settimana, traduzione in 48 lingue in 200 paesi.

«È la storia felice di un outsider. Il karma di Baywatch fu sempre perfetto. Io e mio cugino Douglas Schwartz scrivevamo storie per uno studio chiamato Gtg. Dopo un anno sulla Nbc lo studio fallì e lo show fu cancellato. Io e Douglas eravamo ko, ma Baywatch cominciò ad avere successo in Europa: Gran Bretagna, Germania e Italia. A quel punto il padre di Douglas, Sherwood, ci consigliò di ricomprare i diritti di Baywatch. Li ottenemmo al prezzo di 10 dollari. Non scherzo: la serie era ritenuta morta. In un anno cambiò tutto, nel 1991 Baywatch era un successo mondiale».

Quando nacque l'idea di raccontare una storia di bagnini di salvataggio?

«Io e Douglas ottenevamo solo dei no dalle case di produzione. Un giorno, depressi, ce ne andiamo in spiaggia. Ci guardiamo intorno. Vediamo bagnini in azione, barche inseguite al suono delle sirene, bagnanti rianimati con la respirazione. Vita e morte, eroi e salvataggi, pericoli. C'era tutto».

È vero che Leonardo Di Caprio poteva essere dei vostri?

«Sì. Cercavamo un giovane attore per il ruolo di Hobie, figlio di Mitch/David Hasselhoff. Si presentò Leo: fece una grande lettura copione, la migliore di tutti. Ma aveva quindici anni, e Hobie doveva averne undici. Mentre discutevamo se riscrivere gli episodi per tenerci Leo, giunse Jeremy Jackson, grande alchimia con David. Aveva 10 anni, scegliemmo lui. A Leo comunque le cose sono andate bene».

Poi venne Pamela, icona della serie: come la sceglieste?

«Per la terza stagione c'era questo nuovo personaggio, C.J. Parker. Ai casting vennero attrici come Neve Campbell, Denise Richards, Sandra Bullock. Nessuna di loro ci esaltava. Poi ci mostrarono delle foto: erano di una ragazza apparsa su Playboy. Bella lo era, ma sapeva recitare, era atletica? Hasselhoff, il nostro divo, era contrario a una playmate: siamo un family show, diceva. La Anderson si presentò: carismatica, sexy. Eravamo tutti eccitati, meno David. Lui temeva che il suo corpo relegasse ogni recitazione ai margini. Le cose andarono come sapete».

Pamela che corre in slowmotion è una delle opere d'arte della storia della tv...

«Lo slowmotion era un nostro marchio di fabbrica. Il co-creatore Greg Bonann aveva realizzato video alle Olimpiadi, era uno specialista. Noi pensavamo a rimarcare l'aspetto atletico, ma quando Pamela cominciò a correre...».

Baywatch portò per la prima volta corpi procaci in un tv show: cosa accadde in America?

«Oggi viviamo un'età dell'oro delle serie tv. Molte sono iperrealistiche e sociali, mentre Baywatch è il simbolo di un'epoca non politica. E grazie a questo è un classico senza tempo. Eroismo e bellezza, questi sono i suoi segreti».

Quando Pamela divenne una star, fu difficile contenere i fan sul set?

«A inizio riprese di ogni stagione la regola era andare a Huntington Beach, la spiaggia più affollata di Los Angeles, per registrare scene di corsa. Non fu mai un problema fino alla Stagione 4. Pamela era ormai una star, la gente si affollava, volevano tutti correre con lei. Poi vennero i paparazzi».

Oggi ci sono eredi di Pamela?

«Penso di no. Forse solo Brigitte Bardot ha incarnato quel sex appeal, ma sfiorì presto.

Pamela ha ancora superpoteri sexy».

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