Cultura e Spettacoli

Chi critica il Padiglione Venezia senza nemmeno averlo visto

Stefano Zecchi

Ormai si parla a vanvera, come fa Stefano Micelli sul Sole 24 ore di domenica, che mi obbietta di non dialogare con la contemporaneità, con gli artisti contemporanei. Evidentemente non ha visto l'esposizione del Padiglione Venezia della Biennale, da me curato, ma se l'è fatta raccontare da qualcuno prevenuto, distratto o, semplicemente, in malafede. Nel Padiglione Venezia ci sono tre artisti vivi e vegeti, molto contemporanei che dialogano con la mostra da me curata: Maurizio Galimberti, Cesare Ciccardini e Marco Nereo Rotelli, che occupano uno spazio considerevole dell'esposizione con una funzione estetica fondamentale accanto all'artigianato del lusso. Il fatto è che l'arroganza di certa cultura decadente, quella che ama l'arte che frigge e rifrigge le stesse cose da quando si è spenta dopo gli anni Sessanta la forza delle rivoluzioni formali delle Avanguardie, vorrebbe che si dialogasse con chi pretende lei, cioè con un'arte nelle mani della grande finanza internazionale.

Poi si arriva al grottesco: si rimprovera il curatore di aver messo in mostra tutto ciò che si vende, come se le opere esposte in Biennale non si vendessero e non avessero un forte rimbalzo economico proprio per essere là esposte. E con una buona dose di comicità, si dice anche che ciò che è «esposto non regge la competizione del mercato internazionale perché non regge la concorrenza cinese». Una penosa confusione di chi, il Micelli, giudica senza aver davvero visto e pensa di dare, attraverso una sballata valutazione estetica, dei consigli economici.

Infine, vorrei capire perché non ci possa essere contemporaneità quando la tradizione, espressa dall'alto artigianato in mostra nel Padiglione, non venera le ceneri del passato ma protegge il fuoco di una storia senza scendere a compromessi proprio con un mercato che fa del lusso - tema dell'esposizione - una questione di cafoni senza cultura.

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