Cultura e Spettacoli

Concreto e «rock» Genovesi nuota nel mare della vita

Gian Paolo Serino

Q uando conobbi Fabio Genovesi, un'estate a Forte dei Marmi del 2008 dove io villeggiavo e lui risiede, mi consegnò timidamente la copia del suo romanzo d'esordio Versilia Rock City, pubblicato da Transeuropa, casa editrice che non era più quella dei fasti di Tondelli ma attraversava un momento di seria difficoltà. Lessi quel romanzo e ne rimasi colpito: possibile che un ragazzo di allora 34 anni avesse così tanto talento? Con una voce potente, ironica, Genovesi faceva intuire un grande futuro per qual talento di cui nessuno sembrava essersi accorto (tranne, con me, Edoardo Nesi). Ne scrissi ovunque. Ne scrissi talmente tanto, che il romanzo fu riproposto da Mondadori.

Fabio Genovesi non lo incontro da diverso tempo. Mi è piaciuto tantissimo Morte dei Marmi (una dura critica alla società dello spettacolo che iniziava a snaturare Forte dei Marmi, pamphlet pubblicato da Laterza), ci incontrammo di nuovo, prima sempre al Forte e poi attraverso i suoi romanzi. Genovesi era già sulla strada del successo ma quella luce sfidante alla Luciano Bianciardi, negli occhi e nella scrittura, mi sembrava stritolata da un meccanismo editoriale. I suoi libri successivi, da subito non mi piacquero.

E' tanto che non incontro Fabio Genovesi: l'ho ritrovato adesso nel suo nuovo Il mare dove non si tocca (Mondadori, pagg. 318, euro 19; oggi l'autore ospite al Festival di Mantova con Jonas Hassen Khemiri). Un grande romanzo dove finalmente si ritrova la voce potente degli inizi. Genovesi ha la forza autentica di un autentico scrittore che ha imparato a mediare tra la ferocia di Morte dei Marmi e la poesia di Versilia Rock City. Proprio quel ritmo di scrittura rock che gli mancava da tempo sembra essere tornata in pagine che spesso commuovono e in altre divertono, ma soprattutto regalano al lettore emozioni di un mondo, quello di chi ha vissuto bambino i luccichii degli anni '80, che sembra non esistere più. Sembra perché in realtà, vuole dirci Fabio Genovesi, nella nostra memoria, nell'educazione dei nostri nonni, dei nostri genitori, abbiamo tutti gli anticorpi che la maggior parte dei nati negli anni 2000 sembra non avere. Una generazione impermeabile a qualsiasi malattia sociale, a qualsiasi deragliamento personale. Con questo Il mare dove non si tocca Genovesi racconta invece una «generazione scoperchiata»: educata ad affrontare la profondità dell'esistenza con le proprie gambe, senza ancore di salvezza. Genovesi ci racconta una Versilia e una Toscana dove il padre è ancora il babbo, pragmatico ma affettuoso, «che parla coi fatti» ricordando al giovane protagonista Fabio, che sin da piccolo ama le parole, che «con le parole non si piantano i chiodi» (quasi un realismo da Uomo Finito di Giovanni Papini). Genovesi racconta di una famiglia italiana, quella dei Mancini, che non cade nei luoghi comuni da catechesi della Montagna Magica del Garrone Paolo Cognetti, ma attraverso la solidità dei sentimenti affronta un futuro incerto, come è sempre stato il tempo.

Fugace, ma scolpito in quelle Alpi Apuane che fanno ombra a Forte dei Marmi e allo stesso tempo forgiano, in chi ci abita, un carattere abituato a non essere scalfito dal cinismo di una società dove tutto è più facile: basta arrendersi.

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