Cultura e Spettacoli

Così british da essere lo 007 perfetto

La sua interpretazione della spia è la più amata dal pubblico della saga

Così british da essere lo 007 perfetto

È il primo 007 che muore. In tutti i sensi. Perché, a pensarci bene, chi l'avrebbe mai detto che prima o poi sarebbe avvenuto? Vuoi perché la saga del personaggio di James Bond, nato dalla penna di Ian Fleming e portato al cinema dalla famiglia Broccoli nel 1962, prosegue fino a oggi e di fatto non muore mai, come il domani d'un celebre titolo. Vuoi perché la figura del James Bond di Roger Moore è stata una delle più amate dell'intera filmografia composta da 24 titoli ufficiali più qualche apocrifo seppur molto famoso come Mai dire mai interpretato «per dispetto» proprio da Sean Connery protagonista dei primi cinque titoli. Tra Connery e Moore c'è stato lo sfortunato George Lazenby in Agente 007 - Al servizio segreto di Sua Maestà che, anche se è uno dei titoli più fedeli allo spirito del libro, non ha avuto il successo sperato e, a pagarne le conseguenze, è stato l'attore nato in Australia (e forse anche per questo mai accettato dai britannici in servizio permanente effettivo pre-Brexit).

«Morto» uno 007 se ne fa sempre un altro. E così ecco arrivare il turno di Roger Moore, interprete attraente e dai modi aristocratici, perfetto per essere il più grande 007 al servizio segreto di Sua Maestà in Vivi e lascia morire del 1971 di Guy Hamilton, 160 milioni di dollari dell'epoca (oltre 750 milioni attuali), quarto titolo tra gli incassi della saga. Tanto azzeccato che diventa il più longevo interprete di 007, 12 anni e 7 film.

In qualche modo autentico specchio riflesso anche dei tempi, a cavallo tra i disordinati anni '70 e gli '80 un po' volgarotti, Roger Moore ha incarnato un'idea molto british e molto londinese del mondo di Ian Fleming. Un po' patinata certo ma dove l'accuratezza della forma, dell'aspetto, dei lineamenti morbidi ma allo stesso tempo decisi, ha fatto sognare il pubblico di ogni genere. Sicuramente, e non sembri un crimine di lesa maestà contro Sean Connery che è stato il primo e tra i migliori (entrambi doppiati da noi da Pino Locchi), Roger Moore rimane, nell'immaginario collettivo, lo 007 per eccellenza. Forse perché erano anni in cui il pubblico non chiedeva come prima dote di un agente segreto che fosse particolarmente piazzato e muscoloso come lo è adesso Daniel Craig. Di Roger Moore, nei panni di James Bond, piaceva quella bellezza portata naturalmente, l'ironia dello sguardo che non era mai beffardo come poteva apparire a volte in un Timothy Dalton qualsiasi. In questo senso Moore ha molto a che spartire, colore dei capelli un po' più chiari a parte, con Pierce Brosnan la cui altrettanta «classe non è acqua» ha resistito per quattro film in pieni anni '90.

Insomma, alla fine, il bilancio è un po' come quello dello stesso Roger Moore quando parlava dei suoi colleghi 007 e diceva: «Sean Connery è stato naturalmente il più grande. Ed oggi siamo fortunati ad avere Daniel Craig. Ho sempre pensato che Sean somigliava ad un killer, mentre Daniel avrebbe potuto farlo fuori». Mentre, a ripensare alla sua figura, non diresti mai, che il Moore-Bond potesse, che dico uccidere una persona, ma neanche fare male a una mosca.

Solo bere, con quella classe unica, il classico Martini, «agitato, non mescolato».

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