Cultura e Spettacoli

Così il "divo" Rasmussen svelò i misteri dell'Artico

L'esploratore danese, nato in Groenlandia, fu il primo, negli anni Venti del '900, a studiare il popolo Inuit. Ma non si fece ingannare dal mito del "buon selvaggio"

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La prima immagine stordisce. Più che nel Grande Nord, pare di stare sulle rive del Cocito. Un singulto dal nulla. «Scorgemmo un piccolo riparo fatto con la neve e un pezzo di coperta di pelle di renna». Dentro c'è una donna. La donna ripete come una nenia le stesse parole. Terrificanti. «Non posso più vivere tra gli esseri umani; ho mangiato la mia famiglia». La donna ha occhi derelitti dal dolore, «sanguinava agli angoli degli occhi, tanto aveva pianto». Intorno a lei, un tripudio di ossa. «Trovammo il cranio del marito e quelli dei figli; dentro non c'era il cervello». Così si sopravvive agli estremi, nel regno del gelo.

Knud Rasmussen (1879-1933) è il James Cook dell'Artico, tra il 1921 e il 1924 ha fatto avanti-e-indietro dalla Groenlandia all'Alaska, riducendo il Polo a un bicchier d'acqua. L'esito delle sue spedizioni è raccolto in tomi grossi così (5.500 pagine di studi a cui si sommano le «quasi mille pagine, con centinaia di foto e disegni» di Dalla Groenlandia al Pacifico), in una raccolta di reperti ancora oggi unici per capire usi e costumi degli Inuit («circa 20.000 oggetti affidati da Rasmussen alla Raccolta Etnografica del Nationalmuseet di Copenaghen») e un libri mitico, Il grande viaggio in slitta, pubblicato nel 1932 e diventato «un classico della letteratura di viaggio». Il grande viaggio in slitta fu pubblicato, in parte, nel 2011, da Quodlibet, per la cura di Bruno Berni. Lo stesso Berni parte da quel materiale, rivedendo lievemente la traduzione (esempio: «In mezzo a un grande lago c'era una vecchia eschimese che pescava trote» è l'incipit dell'edizione Adelphi; «In mezzo a un grande lago c'era una vecchia donna eschimese che pescava trote» è il pezzo analogo dell'edizione Quodlibet), togliendo qualcosa e aggiungendo altro, per costruire Aua (Adelphi, pagg. 190, euro 18,00). Rasmussen che nella foto ha la faccia sorniona di un divo adora la Groenlandia (vi è nato, figlio di un pastore danese) ma non cede un'oncia al mito del «buon selvaggio». Del Nord, infatti, racconta gli orrori la donna che rosicchia il cranio dei familiari, manco fosse un agghiacciante conte Ugolino in gonna e «la sorprendente credulità» degli eschimesi, devoti al magico più che al certo. Il libro si concentra sui rapporti tra Rasmussen e Aua, professione sciamano, che irrompe nel libro, «ometto con la grande barba», guidando nell'oscurità, tra cumoli di neve fosforescente, «una lunga slitta con la muta più selvaggia che avessi mai visto». Aua che diventerà fervente cristiano inoltra l'esploratore ai misteri artici: «C'erano due modi per diventare sciamano: si andavano a cercare gli spiriti nella solitudine oppure essi venivano spontaneamente dall'uomo, in modo misterioso e violento. E allora a rendere veggenti' era l'improvvisa paura». Più che la lista di divieti, prescrizioni, tabù, una lagna che suona ingenua (ma che fa gola all'antropologia), affascina il mito. L'oltretomba eschimese è semplice: chi muore annegato o ucciso va nel «paese del giorno», quello «delle persone gioiose e felici», che sta in cielo, dove i morti «giocano quasi sempre a palla... col cranio di un tricheco». Chi muore di malattia o di vecchiaia va nel «paese dell'istmo sottile», che sta «sotto il mare»: prima devono «espiare la propria colpa» perché «non li ha purificati la morte violenta», poi è una manna anche per loro, «si fanno grandi battute di caccia, felici e gioiose». Quando «la caccia comincia ad andare male», lo sciamano Aua «deve scendere sotto il mare dalla dominatrice degli animali marini». Giunto nel cuore degli abissi, «lo sciamano deve subito afferrarla per una spalla... poi deve carezzarle i capelli, lisciarli premurosamente». Per impetrare una caccia fortunata lo sciamano pettina i capelli della furiosa divinità marina. Immagine di dolcezza estrema. Da intendere come un monile del tempo che fu.

Marzio G. Mian, giornalista che ha ora pubblicato l'esito dei suoi decennali viaggi in Artico (Neri Pozza), dice che il Grande Nord ha perso l'innocenza, è diventato lo zenit di speculazioni pazzesche la parte del leone la fa la Russia, quella del dragone la Cina è entrato in una «modernità fatta di cantieri, trivelle, uranio e perbenismo»: «era quasi la Luna, la Groenlandia. E improvvisamente potrebbe diventare una nuova Africa, un Congo boreale». Eppure, il Nord, il luogo in cui «ci si può trovare di fronte a persone che sembrano appena uscite dalla mano della natura» (Rasmussen) è un magnete indimenticabile. Mian ci torna appena può, perché «nelle grandi metropoli tutto è diventato scontato».

Rasmussen, esploratore omerico, che ha scritto un libro più affascinante di Zanna bianca, muore nel 1933, dopo l'ennesima spedizione in Groenlandia. La prima senza slitta. L'epoca imponeva, ormai, l'uso di barche a motore, aerei, falangi di tecnici. Non eri più solo a sfondare l'ignoto. Pioniere ed eroe.

Più sciamano che scienziato.

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