Cultura e Spettacoli

Così René Quinton studiò la "fisiologia" del coraggio

Gli aforismi dello scienziato, scritti dopo l'esperienza delle trincee, indagano la natura umana nei conflitti

Così René Quinton studiò la "fisiologia" del coraggio

«Rischio e Coraggio, Prodi ed Eroi, Dovere e Sfinimento». Questa parte è nel suo complesso la più significativa e porta alle radici dell'etica e dell'estetica della guerra di Quinton. I suoi pensieri sollecitano riflessioni che ogni militare o combattente dovrebbe aver fatto almeno una volta nella vita. Se non altro per verificare e smentire le più becere vulgate su chi ha combattuto o combatte. Molti credono che gli uomini, per il solo fatto di prendere parte alla guerra, siano guerrieri. Uomini di pace e di pensiero credono che i guerrieri siano i soli responsabili della guerra, delle uccisioni e delle morti; credono che basti vestire un'uniforme per essere guerrieri; credono che l'eliminazione della guerra, e di tutto ciò che può richiamare ad essa, sia possibile con l'eliminazione dei guerrieri o con la loro trasformazione in operatori di pace. Non è così. La guerra in genere non è decisa da chi la fa; chi la decide, pur non essendo un guerriero, è corresponsabile delle morti che essa procura; per essere guerrieri occorre una particolare cultura che porti il combattente ad essere consapevole di poter uccidere e rischiare di morire; inoltre, i guerrieri non si limitano a uccidere o morire: devono decidere se uccidere o non uccidere e badare alla propria sopravvivenza oltre all'assolvimento del compito. La decisione di uccidere o non uccidere ed i modi per sopravvivere sono responsabilità di ciascun guerriero. Eliminare i guerrieri nella presunzione che la guerra in senso tradizionale sia finita, significa ignorare la realtà, fingere e non disporre più di un elemento culturale, prima ancora che operativo, che ha un rapporto etico e tecnico ben definito e prevedibile con la guerra, con la pace, con la morte e con il potenziale avversario o alleato. Qualsiasi manipolazione dell'identità dei guerrieri porta alla falsificazione del rapporto tra uomo e guerra e che quest'ultima sia poi fatta lo stesso, ma con altre regole e da persone con motivazioni e riferimenti etici diversi o imprevedibili e, per questo, pericolose. In realtà, la scomparsa dei Guerrieri o la loro sostituzione con i Tecnocrati e i Burocrati non potrebbe evitare al mondo una fine tragica, ma potrebbe condurlo ad una fine semplicemente idiota.

I guerrieri, i prodi, i valorosi, i coraggiosi e tutti coloro che in guerra combattono con lealtà e umanità per un senso di servizio e non per spinte psicopatiche sono motivati alla guerra, ma non dalla propaganda o dalle imposizioni. Il primo anello della motivazione, quello più profondo e inattaccabile, è costituito dal rapporto dell'individuo con se stesso. Nella motivazione rivolta a qualsiasi attività, la domanda e la risposta si esauriscono soltanto nell'uomo stesso, nel suo interno, e qualsiasi tentativo di portare le ragioni delle paure e dei crolli motivazionali all'esterno è semplicemente un altro alibi inconsistente o, magari, un'autodifesa contro il crollo psicofisico che quello motivazionale comunque comporta. La motivazione ha, dunque, sempre una componente riflessiva:- all'idealismo, al desiderio di purezza, di altruismo e di qualsiasi altro nobile sentimento corrisponde ciò in cui io credo;- alla motivazione dell'avventura, della chance, dell'azzardo, del gioco corrisponde ciò che a me piace;- alla motivazione dell'impiego, dell'utilità, della convenienza corrisponde ciò che mi serve e ciò a cui io servo; alla motivazione dell'autorealizzazione, del riconoscimento del proprio ruolo e della propria posizione nei confronti degli altri corrisponde ciò che mi fa essere (...). La motivazione militare tradizionale, quella dei guerrieri e dei prodi, non è legata al professionismo: combattono i soldati di leva con lo stesso spirito dei professionisti delle armi e forse con più entusiasmo perché più ingenui, giovani ed esuberanti. Essenzialmente, i Guerrieri sono uomini normali. A differenza dei non-guerrieri, dei tecnocrati e dei burocrati essi, però, sanno benissimo che in guerra si uccide e si muore. Sanno che le operazioni militari, per qualsiasi scopo siano fatte, comportano sempre gli stessi rischi della guerra e del combattimento. Se non è così, sono stati impiegati male: nel luogo, nel momento o soltanto per lo scopo sbagliati. Sanno anche che qualsiasi elusione è funzionale alla guerra stessa: la facilita, ovvero la nasconde alla percezione cosciente e quindi aumenta i rischi di chi deve intraprenderla.

Gli uomini uccidono e Quinton sembra assuefatto all'idea di uccidere ed essere uccisi.

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