Cultura e Spettacoli

De Marchi, lo psichiatra che riscoprì l'individuo

Libertario ed anticonformista ha precorso i tempi fondendo il cognitivismo e l'esistenzialismo

Paolo Guzzanti

Era un omino minuto ad alto tasso di amarezza e genialità, un po' Woody Allen e un po' Bertrand Russell. Da bambino, Luigi De Marchi (1927-2010), milanese, aveva subito un incidente che gli aveva rovinato l'adolescenza in una famiglia difficile. Da adulto si era dato alla ricerca della terapia ideale per l'esistenza di ciascun essere umano, un rimedio personalizzato per il mal di vivere, sulle orme di Alexander Lowen, Irvin Yalom, Otto Rank e altri terapeuti stanchi di ruminare quel che è vivo e quel che è morto in Freud (senza nulla togliere al fondatore) poiché ciò che interessa è soltanto la pena del singolo individuo nella sua irripetibile unicità. Questo approccio già faceva a cazzotti con la classificazione delle nevrosi, delle psicosi e delle patologie comportamentali, tutte trattate a pacchi, a capitoli che etichettano la malattia senza uno vero e amichevole riguardo per l'individuo singolo, la persona.

Sembra una cosa da nulla e invece è tutto. Ciò che oggi accade, in Italia come nei restanti Paesi europei - già accaduto nei Paesi di lingua inglese - è che le psicoterapie, non importa a quale scuola facciano riferimento, devono portare risultati misurabili. Per legge. E ciò accade perché le assicurazioni vogliono sapere per che cosa rimborsano e gli istituti di ricerca devono mostrare e dimostrare i risultati raggiunti attraverso esperimenti verificabili e ripetibili. È finita l'epoca delle sedute dedicate all'archeologia dell'infanzia, dell'analisi interminabile (di cui Freud stesso era preoccupato) e della psicoanalisi come avventura culturale in sé. A questo proposito è curioso ricordare che Benito Mussolini si era preso una vera cotta sia per la psicoanalisi che per il Professor Sigmund Freud. Lo ha ricordato l'allora presidente della Società di psicoanalisi Emilio Servadio per spiegare come mai il padre della psicoanalisi avesse inviato a Mussolini un suo libro con dedica in cui lo definiva protettore della civiltà. Probabilmente il rapporto fra Duce e Freud era nato quando il Mussolini aveva schierato quattro divisioni di cui due corazzate al Brennero nel 1934 per scoraggiare Hitler (che a quell'epoca odiava) il quale aveva fatto assassinare il cancelliere Engelbert Dollfuss, un proconsole di Mussolini, per annettere l'Austria al Terzo Reich. Poi le cose andarono come andarono, ricordava Servadio, ma Mussolini dopo l'annessione tedesca nel 1938 supplicò Hitler di lasciar in pace il suo amico professor Freud, che invece fu costretto a fuggire a Londra. Si tratta di un episodio occultato con fastidio dalla political correctness, ma che ha importanza perché per decenni è invalsa l'abitudine di sostenere che il mondo delle psicoterapie appartenga a un bacino culturale di sinistra. Il che è falso. Luigi De Marchi, non per caso. era di destra ma in senso liberale, arrivando a far coincidere con temerarietà il cittadino con il consumatore. Gigi era un mio caro amico e insieme presentammo un suo magnifico progetto di legge per riformare la legge 180, la legge Basaglia sulla psichiatria che, nelle grandi città è responsabile di migliaia di morti e feriti tra i pazienti e i loro familiari. Il progetto di riforma che presentai al Senato restò nella Commissione Affari costituzionali e non fu mai portato in aula. Durante i nostri ultimi incontri, Gigi sapeva di essere prossimo alla morte cui si preparò con molta cura, assistito fino all'ultimo istante dalla sua prima allieva e poi erede culturale Antonella Filastro, che oggi ha pubblicato un piccolo, denso e prezioso libro Quel che è vivo e quel che è morto del De Marchi-pensiero (NeP dedizioni S.r.l., pagine 151, euro 16, reperibile on line) non soltanto per rendere omaggio alla sua memoria, ma per riportare alla vita un pensiero verso il quale oggi tutti convergono: quello dell'esistenzialismo umanistico che ha dato origine a una psicoterapia riconosciuta a livello scientifico verso la quale sono in veloce avvicinamento anche le psicoterapie cognitiviste, le più tecniche e di pronto (anche se non sempre duraturo) effetto. Antonella Filastro da dieci anni ha mantenuto dunque in vita la scuola Ipue (istituto psicoterapico umanistico esistenziale) e l'ha rilanciata in continui aggiornamenti scientifici che vanno dall'accompagnamento al fine vita alla Meaningful Therapy, dalla terapia corporea alla Dignity Therapy, in associazione con la facoltà di Psichiatria di Ferrara guidata dal professor Luigi Grassi presidente dell'associazione italiana di Psichiatria. L'istituto Creato da De Marchi ha come garante scientifico il professor Massimo Biondi capo del Dipartimento di Neurologia e Psichiatria dell'Università della Sapienza a Roma, anche lui vecchio amico di Luigi De Marchi quando progettavano insieme una fusione dell'esistenzialismo terapeutico con il cognitivismo. Oggi quell'incontro fra discipline è nell'agenda di quasi tutte le scuole di psicoterapia e si potrebbe dire che Gigi De Marchi stia cominciando a vincere a dieci anni dalla sua morte. Filastro per suo conto fa volontariato in Kenya proteggendo i bambini nati con l'Aids e abbandonati dalle famiglie.

Ma gli innesti e le fusioni culturali non si fanno per semplice addizione di segmenti. De Marchi aveva creato, ad esempio, un oggetto del tutto nuovo, la Psicopolitica, in grado di prevedere i comportamenti di massa e le loro conseguenze. Così, aveva previsto con un quarto di secolo d'anticipo i flussi migratori dall'Africa e la loro stretta interconnessione con i media, la fuga verso i Paesi ricchi che avrebbe portato inevitabilmente a uno shift di destra in un'Italia viziata dai luoghi comuni, totalmente impreparata ad affrontare un trauma identitario. Gigi era un liberale radicale, trattato malissimo non soltanto dalla Chiesa cattolica per la sua campagna per l'uso della pillola contraccettiva nei consultori dell'Aied (che aveva contribuito a creare) ma con particolare accanimento dalla chiesa comunista e dal mondo accademico da cui si teneva alla larga, salvo i rapporti personali. Si scatenarono contro di lui in particolare le femministe comuniste che lo accusarono di voler sterilizzare la rivoluzione e castrare il proletariato. Per questo, il piccolo uomo Gigi De Marchi era diventato un lottatore d'acciaio sul piano politico restando uno degli uomini più sensibili, empatici, affettuosi e comprensivi sul piano dei rapporti umani. Fu lui a portare il pensiero di Wilhelm Reich in Italia traducendo e pubblicando le sue opere e non per caso scelse Reich, un eretico trattato come pazzo e perfino come criminale: lui stesso era un eretico e un rivoluzionario, libertario ed esistenzialista.

Oggi la storia, la psichiatria e le neuroscienze gli danno ragione e questo libro di Antonella Filastro riapre una porta che porterà non soltanto nuovo ossigeno, ma anche tempesta.

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