Cultura e Spettacoli

Donne, cavalieri e armi che ispirarono il capolavoro di Ariosto

Ecco gli artisti vicini al mondo dell'"Orlando Furioso", da Leonardo a Mantegna

Donne, cavalieri e armi che ispirarono  il capolavoro di Ariosto

Un poema, se sei un valente poeta, puoi riempirlo con 46 canti e 38mila versi, zeppi di donne, cavallier, armi, amori, e poi dame, maghi, castelli, re e principesse E una mostra, se sei un prode curatore, puoi immaginarla come un romanzo, facendo sfilare, sala dopo sala come le ottave che scorrono sui pannelli alle pareti quadri, arazzi, armature, libri, mobili, bronzi, ceramiche... Raccontando, ma anticipandola, come per magia, la stessa storia.

Magicamente sorprendente e filologicamente inappuntabile, la grande mostra che apre oggi a Palazzo dei Diamanti a Ferrara (fino all'8 gennaio 2017) dedicata ai 500 anni dell'Orlando Furioso, con un volo di fantasia dei due curatori Guido Beltramini e Adolfo Tura prova a chiedersi Cosa vedeva Ariosto quando chiudeva gli occhi. Bella domanda. A cosa pensava Ludovico Ariosto, chiudendo gli occhi e aprendo il suo manoscritto, quando si accingeva a narrare una battaglia, o a descrivere la bellezza di Angelica, o a sognare il paesaggio lunare del viaggio di Astolfo? Forse avrà visto - eccole appese qui - la Battaglia di dieci uomini nudi incisa su rame dal Pollaiolo o la Battaglia fantastica con cavalli e elefanti disegnata da Leonardo da Vinci Magari ebbe come musa la fascinosa Venere pudica di Botticelli, un modello di perfezione femminile per un'intera epoca: è appesa proprio lì E se si fosse ispirato all'ambientazione extraterrestre di questo San Giovanni a Patmos di Cosmè Tura? L'opera è del 1475, e l'artista era di Ferrara, la città dove furono stampate le tre diverse stesure dell'Orlando Furioso: nel 1516, nel 1521 e nel 1532. Il mondo cambia. E il genio non ha pace.

Pace, guerre, incantesimi, draghi, duelli, cavalli alati e paladini. Le imprese di Carlo Magno e Orlando sono ambientate nell'VIII secolo, 800 anni prima del poema ariostesco, e ancora più antico è il tempo di Artù e dei suoi cavalieri La fantasia del pur immaginifico messer Ludovico si è dovuta aggrappare ad altre fantasie, veicolate nei secoli da miniature, cimieri, sarcofagi, armature, ritratti, persino da figure intagliate su un corno d'avorio dell'XI secolo (eccolo qui l'olifante suonato da Rolando a Roncisvalle!) o dalla spada di Francesco I, re di Francia, sconfitto nella battaglia di Pavia (ma certo: la Durlindana di Orlando è in quella teca...). La fantasia si nutre sempre di altre fantasie. È così che nascono i grandi poemi, e le mostre più originali. I curatori migliori sono abili archeologi dell'immaginario.

Tre anni di lavoro, 12 sale, oltre 80 pezzi (ci sono opere di Paolo Uccello, Raffaello, Ercole de' Roberti, il Baccanale degli Andrii di Tiziano prestato dal Prado che manca dall'Italia da 400 anni, e il meraviglioso quadro arrivato dal Louvre di Andrea Mantegna Minerva che scaccia i Vizi dal giardino delle Virtù le cui mostruose creature restarono ben in mente all'Ariosto quando le vide nel camerino di Isabella d'Este), la mostra di Ferrara, dalla quale si entra scenograficamente attraverso un'anti-porta a forma di gigantesco libro che introduce al libro più celebre del Rinascimento, inizia con un libro - la copia più antica giunta fino a noi dell'Inamoramento de Orlando del Boiardo, da cui tutto principia, e i cui personaggi continuano a vivere nel Furioso - e finisce con un libro: un esemplare della prima edizione del Don Chisciotte, l'ultimo romanzo di cavalleria che omaggia, con una celebre citazione, la grandezza della lingua dell'Ariosto. In mezzo, un fantastico labirinto di sale e un incredibile intreccio di oggetti dove, come accade agli eroi del Furioso, ci si perde e ci si ritrova. La domanda che l'Autore pone ai suoi personaggi, e a noi, è: al bivio, quale strada prenderai?

Il mondo si rispecchia nel poema e il poema riflette il mondo. C'è la battaglia di Roncisvalle immortalata su un gigantesco arazzo proveniente dal Victoria and Albert Museum. C'è una gigantesca mappa geografica del Nuovo Mondo, del 1501, che Ariosto vide alla corte degli Estensi e che saccheggiò per alimentare il suo senso del meraviglioso. C'è la grande tela con la maga Melissa (è lei ad annullare il sortilegio della malvagia Alcina) dipinta da Dosso Dossi appena due anni dopo l'apparizione del Furioso, primo esempio della secolare fortuna figurativa del capolavoro ariostesco. E c'è un'intera parete su cui, lavorando insieme, un gruppo di giovani grafici e riconosciuti studiosi di Ariosto hanno ricostruito, tra linee, trame e rimandi, il romanzesco intreccio di azioni e personaggi del poema. Leggendo il quale, quasi fosse una moderna telenovelas, anche se perdi una puntata, appena ci rientri, ti ritrovi subito, ed è come se non fossi mai uscito. Un incantesimo. È il destino di chi si addentra nell'Orlando furioso, un libro meraviglioso e fantastico che ha un padre moderno (la letteratura e l'arte del Quattrocento) e una madre antica (la mitologia e religione cristiana, dall'Eneide alla Divina commedia). Si chiamano classici. Libri senza tempo e fuori dallo spazio che parlano dell'oggi, anche se scritti nella Ferrara di cinquecento anni fa.

Del resto tutti noi, ieri come ora, siamo mossi, com'è mosso l'intero Orlando furioso, da un unico motore: il desiderio. Il desiderio -che ci rende pazzi- di ottenere fama, amore, gloria, potere. Le donne, i cavallier, l'arme, gli amori... Il fatto è che -proprio come capita entrando e uscendo dalle sale della mostra- nessuno trova mai quello che vuole, e tutti si imbattono in qualcosa che non cercano.

E questa si chiama vita.

Commenti