Cultura e Spettacoli

E l'ufficiale inglese disse: "Domani saranno i partigiani a comandare"

Gennaio 1945, il capo di una banda a un contadino: "Siamo i primi di tanti che arriveranno, di tutti i colori, di tutti i partiti"

E l'ufficiale inglese disse: "Domani saranno i partigiani a comandare"

Pubblichiamo un brano del libro "Bella ciao. Controstoria della Resistenza", di Giampaolo Pansa (in edicola con il Giornale a 8,50 euro più il costo del quotidiano). Lo scrittore narra di come chi il 25 aprile va in piazza a cantare «Bella ciao» è convinto che tutti i partigiani abbiano combattuto per la libertà dell'Italia. È un'immagine suggestiva della Resistenza, ma non corrisponde alla verità. Il giornalista e scrittore svela il lato oscuro della guerra di liberazione e la spietatezza dei comandanti e commissari politici rossi. Nel mettere a confronto la brutalità di rivoluzionari senza onore con i partigiani che si battevano per un'Italia libera da qualsiasi dittatura, Pansa rievoca una pagina di storia e compie un nuovo importante passo per abbattere la fortezza ideologica che ancora oggi impedisce di affrontare con obiettività meriti e colpe della Resistenza.

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Il Capodanno del 1945 iniziò in modo insolito. La mattina mia madre aprì la finestra della cucina che dava sui campi e cacciò un urletto. Dentro la neve scarpinava un uomo. (...) A mezzogiorno lo sconosciuto ricomparve. Lo vedemmo avanzare sulla neve che cricchiava. Stava con altri due che lo seguivano senza parlare. Nel cielo color del peltro si stagliò un volo di cornacchie. Scomparse le cornacchie, le due finestre che davano sull'aia si aprirono. Quel tanto che bastava a mostrare due fucili.

Il primo, una doppietta da caccia, lo impugnava la Pinuccia. La ragazza mostrava il cipiglio della pistolera pronta a sparare. Il secondo era un fucile tedesco di precisione che lo zio Silvio aveva comprato per poche monete e un paio di scarpe da un disertore della Wehrmacht stufo di fare la guerra. Lo zio gridò: «Che cosa cercate?». I tre si fermarono. Lo sconosciuto rispose: «Cerco voi. Sono Nuto Calandra, il figlio del mezzadro di Bene Vagienna, Michele Calandra. Avete fatto il militare insieme. Vi ricordate?». Lo zio fece entrare soltanto lui: «Ti va bene che ho buona memoria. Sennò ti avrei sparato». Nuto rise: «Posso farvi conoscere gli altri due?». «Chi sono?» «Guardate voi.» Il primo fece stramazzare tutti per la meraviglia. Era un ufficiale inglese sulla quarantina: altissimo, uno stecco d'uomo, con la divisa dell'esercito di Churchill, un tantino strafugnata, e la pistola nella fondina. Anche il secondo si rivelò inglese: uno zuccone biondo, giovanissimo, pure lui con la divisa, ma da soldato semplice. Tutti pensammo che fosse l'attendente del mister con la rivoltella. Soltanto in seguito si capì che maneggiava la radio trasmittente.

Anche Nuto era uno spilungone, la pelle distesa sugli ossi, un naso diritto da curioso che sta sempre all'erta e ravana dappertutto. Non stette lì a sprecare parole. Buttò giù qualche notizia sul papà mezzadro e venne al dunque. Spiegò allo zio Silvio che era il comandante di una banda partigiana, pronta a spostarsi da una vallata sopra Cuneo al Monferrato. Aveva bisogno di far passare per la cascina la sua squadra comando che faceva da battistrada al resto.

«Quanti sarete?» domandò sospettoso lo zio. «Poca roba. Sei uomini, oltre a me, il mister inglese e il suo tirapiedi con la radio. Totale: nove in tutto. Siamo gente seria. Ci fermeremo una notte sola. Poi toglieremo il disturbo. In seguito ne arriveranno degli altri. Tanti altri, ma non passeranno più da casa vostra. Lo giuro.» Poi si guardò in giro. Vide la zia, mia madre, me e soprattutto la Pinuccia che stava lì con la doppietta in mano, sempre sul chi va là. Domandò: «È vostra figlia?». «No. È la mia attendente» ringhiò lo zio. «E quando spara, prende di mira le parti basse». Lo zio Silvio non era affatto contento di quella visita imprevista. Disse al Calandra: «Quando parli con me, non dire mai che giuri su questo o quest'altro. Vi conosco, voi partigiani. Con il pretesto di combattere tedeschi e fascisti, ne combinate più di Carlo in Francia. Qui intorno so di cascine che si sono viste portare via di tutto, persino le donne». Ma Nuto non mollò la presa: «Mio padre garantisce per me. Io garantisco per i miei compagni di oggi e di domani. E lui garantisce per tutti, in nome del regno d'Inghilterra» concluse indicando il mister con la pistola.

Arrivarono che faceva buio. Erano davvero in nove. Tutti secchi come chiodi, persino più di Nuto. Rimasi deluso perché non vestivano da guerriglieri, ma indossavano abiti da contadini malconciati. Però gli scarponi erano stati risuolati di fresco, unti di grasso, e con una trama di chiodi nuovi. Poi c'erano le armi, nascoste in grandi sacchi rattoppati alla meglio. Lo zio gli ordinò di aprirli, voleva controllare che diavolo ci fosse dentro. I più strani mi sembrarono tre mitragliatori inglesi con il caricatore a mezzaluna. Lo zio ordinò: «La ferraglia deve stare nel fienile. E che il Padreterno ce la mandi buona!». Disse alla Pinuccia: «Mostragli la strada. Se ti mettono le mani addosso, usa la doppietta».

Scese il buio. Gli uomini di Nuto chiesero se c'era da mangiare. Ne ebbero senza avarizia e spicassarono tutto con la fame dei suonatori. (...) Nuto parlò fuori dai denti: «Vi ho già spiegato che siamo i primi di tanti che arriveranno». «Quanti?» indagò lo zio. «Tanti, e di tutti i colori, di tutti i partiti.» «E come mai?» «La guerra sta per finire». «Eh, sta sempre per finire!». «No, stavolta finisce davvero. Quando sarà il momento, partiremo dalle vostre colline per andare a prendere Torino.»

«Torino?» domandò lo zio Silvio, con l'aria di dire: perché la sparate tanto grossa? Poi aggiunse: «Torino è grande. Non è facile da prendere. Però vi capisco: è un bel boccone. E per intanto che cosa farete?». «Il nostro mestiere di partigiani. Siamo in guerra. Dobbiamo sparare ai tedeschi e ai fascisti. Quando la guerra sarà finita, loro» spiegò indicando l'ufficiale inglese, «non ci lasceranno più sparare». Lo zio s'infuriò: «Con il vostro sparare e sparare ci farete bruciare le case. A Villadeati, un paese non lontano di qui, i tedeschi hanno fucilato il parroco e nove contadini come me». Poi si rivolse al mister in divisa e gli disse: «Voglio sopravvivere a questa guerra. E voglio salvare la moglie, la Pinuccia, la cascina, le bestie e la terra. È tutto quello che ho».

L'ufficiale gli sorrise. E parlando in un buon italiano, replicò: «Anch'io ho il vostro stesso problema. Vicino a Londra ho una moglie e due figli che mi aspettano. Hanno rischiato di morire sotto le bombe degli aerei di Hitler». Poi cambiò discorso: «Guardate: è una carta del Monferrato. Voi sapete tutto di queste colline. Fate vedere a Nuto i posti buoni per sistemarsi. E su quali strade si muovono i tedeschi e i fascisti». Lo zio storse il muso davanti a una richiesta tanto impegnativa. Poi domandò: «Che cosa ci guadagno a farlo?». Nuto sospirò: «Niente. Tranne che così vi salvate la pelle, per l'oggi e per il domani». L'inglese aggiunse: «Siate pratico. Domani saranno loro a comandare.

Quelli come Nuto».

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