Cultura e Spettacoli

"Ecco i nuovi 007 nel mondo dei conflitti fluidi"

L'esperto: «L'intelligence è il terzo attore a livello internazionale, con armi e diplomazia»

"Ecco i nuovi 007 nel mondo dei conflitti fluidi"

Matteo Sacchi

Il XX secolo è stato il secolo della guerra, calda o fredda che fosse. Il XXI secolo invece potrebbe essere il secolo dell'intelligence. Per carità, i servizi segreti esistevano già nell'antica Sparta (il servizio di informazione lacedemone si chiamava krypteia) e i conflitti non sono certo finiti. Però gli attori sulla scena internazionale sono cambiati. Ad agire sono sempre meno gli Stati e sempre più delle entità meno determinate, di cui le organizzazioni terroristiche sono solo la punta dell'iceberg. Con queste strutture fluide, capaci di sfruttare al meglio il conflitto asimmetrico, la diplomazia stenta e gli eserciti tradizionali risultano elefantiaci e inadatti. Ecco che quindi è iniziata una nuova epoca in cui i servizi segreti giocano un ruolo molto diverso da quello che giocavano un tempo. Di questo nuovo ruolo degli agenti segreti disquisisce Paolo Salvatori nel suo nuovo libro: Spie? L'intelligence nel sistema di sicurezza internazionale (La Lepre edizioni, pagg. 286, euro 20, con una prefazione di Robert Gorelick, capo della Cia in Italia durante l'amministrazione Bush Jr. e una postfazione intervista ad Alberto Manenti, direttore dell'Aise).

Dottor Salvatori, chi sono oggi le spie di cui si parla nel titolo del suo libro?

«Il titolo è spie con il punto di domanda. Quel punto di domanda è lì proprio perché ormai il termine spie è riduttivo. L'intelligence ormai è il terzo attore del diritto internazionale, che affianca le forze armate e la diplomazia. In un mondo dove esistono situazioni sempre più fluide l'intelligence diventa fondamentale per risolvere sempre più situazioni. E di conseguenza gli operatori dell'intelligence diventano qualcosa di più delle classiche spie».

Mi faccia un esempio...

«Pensi alla Libia, lì lo Stato si è frammentato. Operare in situazioni così complesse comporta una impostazione nuova. Se ci pensa in quasi tutte le crisi attuali assistiamo alla frammentazione di un Paese. Ci sono ancora zone di conflitto tradizionale, tra Stati. Sono anche importanti, per carità, ma sono una minoranza. In queste situazioni fluide l'intelligence diventa il primo strumento».

Beh, nel caso della Libia, nel prevedere il collasso del Paese forse ha fallito anche l'intelligence.

«Mi permetta: è stato un fallimento della politica, su più livelli. Semmai l'intelligence, compresa quella italiana è entrata in campo per limitare i guai».

E l'11 settembre?

«In quel caso sì, l'intelligence statunitense si è fatta cogliere di sorpresa. È stata una tremenda lezione. Però da quel momento tremendo si è imparato molto. Bisogna anche riflettere su quanti altri 11 settembre l'intelligence ci ha evitato in seguito. Indubbiamente quello, però, è stato un punto di svolta: ci ha insegnato a non ragionare più come si ragionava in un contesto bipolare».

E i rapporti numerici?

«Ovviamente per mettere in piedi sul terreno una rete informativa serve una struttura alle spalle molto più numerosa. C'è chi fa ricerca informazioni, ma alle spalle ci sono strutture di analisi molto più ampie. Ad esempio la Cia ha migliaia di persone che lavorano a Langley. Non hanno sempre le caratteristiche che le persone abitualmente attribuiscono a una spia».

E le caratteristiche di un buon agente operativo?

«Deve essere dotato di una sorta di schizofrenia. Capiamoci, gli agenti passano test psicologici molto precisi, non sono pazzi. Ma devono avere le qualità di un attore, se non fosse che l'attore è un estroverso, il suo piacere di comunicare è reale. Mentre la spia deve sapersi estraniare emotivamente, non divulgare. Quindi direi l'empatia dell'attore e il distacco dell'entomologo».

La nuova intelligence sarà sempre più tecnologica?

«La risposta ovviamente è sì. Non è pensabile la raccolta di informazioni al di fuori del moderno contesto tecnologico. Però le dico una cosa. Magari mi si accuserà di essere un po' vecchio in questa scelta, ma per me quello che viene definito Humint, quella attività di intelligence che passa attraverso i contatti personali, resterà fondamentale sempre. Io penso che al centro resteranno sempre gli esseri umani.

Ed è sugli esseri umani che va costruita l'intelligence del futuro».

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