Cultura e Spettacoli

«Una fantasia maleducata Parise non è un poeta»

Fui io a sollecitare Parise ad andare da Garzanti, lo sollevai cioè da un debito morale, che vagamente sentiva . E non mancai, vedendo spesso Parise, di raccomandargli la prudenza e la serietà di lavoro della quale aveva dato prova nel primo libro. Già avevo avuto del suo carattere avvisi funesti. La sua collaborazione al «Borghese», per esempio. Ma speravo che di fronte alla responsabilità di un nuovo libro, sentisse la forza dell'impegno e la dignità della professione. Ahimè, quante illusioni ci facciamo. Letto questo Prete bello devo alla fine confessare che non ho mai conosciuto, e spero di non conoscere mai più, persona così maleducata. Maleducata nel senso più intimo, e cioè della fantasia. Che cosa abbiamo ancora bisogno di dire che non abbiamo detto di lui? Ripeterci sulle qualità che tutti gli abbiamo riconosciuto? E dunque, come maleducato, rozzo, tracotante, sciocco, non è poeta. Anche le poche pagine che nel libro si incontrano restano staccate dal contesto: quelle del Natale, per esempio, dove si avverte più sottile che altrove quell'estetica della miseria, che dà il colore al libro, e che è così odiosa. La miseria è una cosa troppo seria perché ci si possa fare dell'estetica sopra, servendosene aggiungi con tanta indifferenza. C'è poi quella Fedora, che è la mala copia di Edera, che nel primo libro riusciva ad avere forza poetica. E c'è il prete lui stesso ha confessato che si tratta di quel don Moresco che scrisse Spagna, cattedra ecc. ma ci vuol altro a fare un prete! Dico ci vuol altro che un Parise. E ci sono quei due ragazzi, nei quali l'estetica del ruffianesimo tocca il colmo. I due libri che ho stampato io, specie il secondo, sono di altra natura. C'è almeno uno sforzo, c'è ambizione di fare opera d'arte. Qui l'ambizione non è nemmeno proposta. Qui c'è l'avidità del successo mondano, di far denaro; il ragazzo ha capito in che mondo viviamo, vuole sfruttarlo. È assai probabile che, se non ha fatto centro questa volta, lo faccia la volta prossima; ma avrà da pentirsi. Perché quel pubblico che avrà comperato questo libro, senza sapere dei primi due, non comprerà quello che scriverà fra un anno o due.

(Dalla lettera ad Antonio Barolini

datata 11 giugno 1954)

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