Cultura e Spettacoli

Una favola triste sul potere tra dittature e false libertà

"The President" dell'iraniano Makhmaldaf (sezione "Orizzonti") riflette su come la violenza accomuni i regimi e le "primavere"

da Venezia

Il presidente-dittatore di un imprecisato Stato caucasico fa giocare il nipotino prediletto con l'illuminazione della capitale. A un ordine, prontamente eseguito in ossequio all'autocrazia del nonno, la città sprofonda nel buio per poi, al successivo comando, tornare a brillare e il bambino ammira felice l'alternarsi di tenebre e luce...

Il presidente-dittatore ha appena firmato una dozzina di condanne a morte per cospirazione contro la sua persona e alto tradimento nei confronti della nazione, fra cui quella di un giovane sedicenne. «Se i pivelli non vengono puniti» dice al segretario che paventa l'ennesima levata di studi democratica contro la barbarie che non risparmia nemmeno la minore età, «il rischio è che crescano e facciano sul serio la rivoluzione»... È anche per questo che si tiene vicino il rampollo: è l'erede designato, visto che il figlio e la nuora sono morti in uno dei tanti abortiti putsch che hanno insanguinato la sua leadership, e le altre nipoti pensano solo al lusso. È anche per questo che, nonostante abbia appena cinque anni, gli ha fatto confezionare una minidivisa da generale e se lo porta dietro alle parate e in fondo è la stessa logica che lo guida nella repressione contro le giovanissime leve antiregime: quello lo alleva, queste le schiaccia.

Il gioco infantile a un certo punto si interrompe, la luce non torna più e in città si sente il crepitio delle mitragliatrici. È scoppiata l'insurrezione e il presidente decide di spedire fuori dal Paese moglie e nipoti. Lui no, si illude di riuscire a mantenere il potere, e quindi non parte. E non parte nemmeno il bambino, troppo legato al nonno e a una compagna di giochi del palazzo presidenziale, per non piangere all'idea di perdere l'una e l'altra. Di lì a un giorno si ritroveranno in fuga e braccati, mentre la nazione sprofonda nel caos e sul suo capo pende una taglia.

Spogliato di ogni potere, il presidente-dittatore scopre un territorio, e i suoi abitanti, che ha sempre ignorato. Si è limitato a governare con mano di ferro, non si è mai preoccupato di come la sua gente vivesse. Adesso ne vede la miseria e misura l'odio che la sua persona provoca, pari all'adorazione di cui, quando era in auge, veniva circondato. Soprattutto, verifica come la riconquistata libertà tenda ad assumere gli aspetti dell'anarchia selvaggia: stupri, violenza gratuita, vendette sommarie.

Girato da Mohsen Makhmaldaf, regista iraniano esule da qualche anno in Francia (già autore di Viaggio a Kandahar , Pane e fiori , I giorni dell'amore ), The President - che inaugura la sezione «Orizzonti» - è una sorta di favola moderna sul potere, la riconciliazione e la speranza. «Ho cominciato a scriverne la sceneggiatura durante un mio soggiorno in Afghanistan una decina di anni fa, e poi l'ho più volte ritoccata, specie a tempi della cosiddetta “primavera araba”. Ho visto allora come rivoluzioni fra loro differenti, tutte mosse dal nobile intento di farla finita con la dittatura, finissero in tragedie nazionali. Alla tragedia rappresentata in sé dal potere assoluto, faceva seguito una violenza rivoluzionaria che finiva col negare le ragioni morali e politiche che l'avevano fatta scoppiare». Senza indulgere in sentimentalismi, The President usa la curiosità di un bambino che costantemente si stupisce e domanda, costringendo il dittatore fuggiasco a un esame di coscienza, a una presa d'atto di ciò che il suo potere si è lasciato dietro. «C'è per la prima volta la vergogna, la consapevolezza della proprie responsabilità».

Ben recitato, The President ha il solo anacronismo di un dittatore in fuga che non pensa a tagliarsi la barba e i baffi che campeggiano in tutte le immagini pubbliche che riempiono il Paese... Il piccolo Dachi Orvelashvili, al suo esordio davanti alla macchina da presa, presta al suo personaggio gli occhi sgranati di chi fugge illudendosi sia tutto una recita, come quando a palazzo giocava ad accendere e spegnere una nazione. «Bisognerebbe impiccarlo davanti al vecchio» dice uno dei rivoltosi che alla fine cattureranno nonno e nipote. «Ha fatto impiccare mio figlio»...

La violenza non contempla l'innocenza.

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