Sanremo 2018

Il Festival ha 68 anni ma è più social di "X Factor"

Il Festival ha 68 anni ma è più social di "X Factor"

Stentano a entrare i colori, al Festival 2018, a parte il papillon rosso di Peppe Vessicchio, di cui aspettavamo il ritorno perché senza di lui Sanremo non è Sanremo. Tanti vestono di nero, che assottiglia le forme però è un po' noioso, sui giovani fa sciatto e i veterani li trasforma in sovradimensionate matrone. L'eleganza, piuttosto, ha il bianco di Ornella Vanoni, il blu chic di Giovanni Caccamo e lo smoking, che la circostanza peraltro imporrebbe, esibito dal direttore artistico Claudio Baglioni e dal conduttore Pierfrancesco Favino: fa davvero piacere quando il dress code viene rispettato.

Si può dire ciò che si vuole, ma se questa storia va avanti da 68 anni un senso ci sarà. Il Festival di Sanremo non è solo l'ultimo programma musicale della tv italiana in grado di totalizzare share da record; un tempo indicatore dei cambiamenti sociali, oggi si è evoluto conquistando l'opinionismo del web, è diventato un trendtopic, totalizza centinaia di migliaia di tweet, occupa il dibattito su facebook, a testimonianza che i social, per esprimere opinioni le più disparate, li usano più gli adulti dei ragazzi. Non esiste in Italia un altro spettacolo capace di catalizzare così tanta attenzione, anche da parte di chi ne sottolinea difetti, anacronismo, tendenza al kitsch. Neppure i talent, neppure X Factor, arriva a tanto, per una settimana non si parla d'altro. Uno show costruito per la televisione, tanto che l'Ariston sembra molto più grande di ciò che è, studiato per il pubblico a casa con meccanismi e incastri che ancora funzionano e continueranno a funzionare, alimentati peraltro dalla nostra curiosità, dallo stato d'attesa, da scandali, bocciature, rivelazioni, polemiche. Ingenuo, davvero, parlarne male. Ingenuo e superficiale soffermarsi su botox, tette rifatte, mostri sacri tirati fuori dalla naftalina. Ogni anno questi ingredienti vengono sapientemente mixati da ottimi professionisti dell'intrattenimento, distribuiti ad arte affinché noi pubblico se ne parli. Se un sistema funziona, non c'è proprio ragione per cambiarlo.

A me pare che Baglioni abbia fatto bene il suo lavoro, scegliendo canzoni e interpreti non tutti memorabili, ma di sufficiente qualità, in grado di cogliere almeno in parte fermenti e novità della musica di oggi: Giovanni Caccamo, Diodato, The Kolors, Renzo Rubino e soprattutto Lo Stato Sociale - questi ultimi confermano che l'indie non vede l'ora di assurgere a mainstream - affermano che sì, nell'Italia sonora c'è vita. Rimette insieme pezzi di Pooh, convince Elio a ritardare l'annunciato scioglimento, invita Ron a proporre un commovente inedito di Lucio Dalla. Ce n'è quanto basta, e se non bastasse canta lui, la voce regge, anzi è migliorata, con buona pace di Antonio Ricci.

Si ride meno e meno male perché i comici bravi sono razza in estinzione. L'allegria è garantita da Michelle Hunziker, tra le poche donne in grado di unire bellezza, fascino e simpatia. Non c'è bisogno di vallette se si ha a disposizione una professionista seria e duttile.

Passa il tempo eppure Sanremo resta una delle poche dipendenze televisive cui milioni di italiani, anche chi scrive, non riesce felicemente a fare a meno.

Commenti