Il film del weekend

"La figlia oscura", un esordio alla regia dal taglio già autoriale

Un film singolare e dal fascino torbido, in cui convivono egoismo e genitorialità, autoaffermazione e rimorso, istinto e debolezza dell’essere donna e madre

"La figlia oscura", un esordio alla regia dal taglio già autoriale

La figlia oscura, esordio alla regia di Maggie Gyllenhaal, (già attrice e sorella del più celebre Jake), arriva nei cinema dopo essere stato bene accolto alla scorsa edizione del Festival di Venezia.

Tratto dall’omonimo romanzo di Elena Ferrante, di cui conserva quasi tutto ma non l’ambientazione nel sud Italia, il film è una lunga meditazione visiva sul lato oscuro della maternità.

Protagonista è una professoressa universitaria ultraquarantenne, Leda (Olivia Colman), che si trova a godersi una placida vacanza fatta di sole e libri su una spiaggia greca quando, sullo stesso lembo di sabbia, irrompe una famiglia allargata e chiassosa originaria del Queens. Tra i suoi componenti a catturare l’attenzione di Leda è la giovane mamma Nina (Dakota Johnson). Osservando il rapporto amorevole che la donna ha con la sua piccola, Leda si trova sopraffatta dai ricordi circa la propria giovinezza, quando le riusciva difficile mantenere un equilibrio tra lavoro e accudimento delle due figlie. Compiuto il gesto impulsivo e incomprensibile di occultare la bambola della bambina di Nina, Leda si trova a fare i conti con parti complesse di sé e a mettere a repentaglio le dinamiche in essere, già tese, con i vicini di ombrellone.

“La figlia oscura” è un’opera fredda, a modo suo minimalista, in cui i corpi e i volti sono scrutati a distanza ravvicinata e parlano più di qualsiasi gesto o parola. Il film poggia moltissimo sull’espressività dello sguardo di Olivia Colman. La performance dell’attrice è eccezionale, in grado di rivelare le pieghe caratteriali di un personaggio difficile, lavorando di sottrazione.

Le scelte che la sua Leda, così respingente e particolare, compie nel tempo presente, così come quelle legate a un passato che viene alla luce attraverso insistiti flashback, sono comprensibili ma di certo non convenzionali. Le conseguenze di comportamenti lontani nel tempo sono ancora nitide nell’autoimmagine di cattiva genitrice che la donna ha di sé.

Pensare che un bambino possa costituire una minaccia alla carriera e alla salute mentale la rende una madre difforme dal modello socialmente diffuso e accettato, quello per cui la prole costituisce la ragione di vita cui sacrificare interamente se stesse.

Il senso di inadeguatezza e la presenza di sentimenti conflittuali verso la progenie, ad ogni modo, sembrano non risparmiare neanche la dolce Nina, come si evince da coincisi eppure significativi dialoghi. L’interiorità poco cristallina e i sogni infranti accomunano le due donne, diverse per età e sembianze ma legate dal sapere cosa significhi sentirsi sotto giogo.

Ci si può pentire di avere messo al mondo dei figli? L’affermazione individuale è messa a repentaglio dopo una gravidanza? Qual è il prezzo da pagare in termini di indipendenza? Sono questi alcuni dei quesiti sottotraccia che guadagnano terreno e vanno a formare crepe in esistenze il cui equilibrio è solo di facciata.

La difficile empatia nei confronti di personaggi tanto criptici fa parte del fascino di un film che porge atteggiamenti scomodi con naturalezza e senza alcun filtro.

L’uso di una fotografia fredda, l’indugiare lento dei movimenti di macchina su gesti osservati ossessivamente e la disamina di come i figli siano “una responsabilità schiacciante” sono indice di come “La figlia oscura” sposi il punto di vista di Leda e la sua imperscrutabilità. Non trapelano giudizi di sorta da parte di chi dirige la messa in scena.

Malgrado nessuna delle tre candidature agli Oscar si sia concretizzata in premio, “La figlia oscura” resta un'opera prima enigmatica e d’impatto.

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