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Il film del weekend: "Unbroken"

Angelina Jolie confeziona un film dall'ottima messa in scena ma in cui è completamente assente l'approfondimento psicologico del protagonista

Il film del weekend: "Unbroken"

Dopo "In The Land of Blood and Honey", Angelina Jolie dedica anche la sua seconda regia ad un film bellico, "Unbroken", adattamento cinematografico dell'omonimo romanzo best-seller di Laura Hillebrand basato sulla vita di un uomo eccezionale, Louie Zamperini, che fu atleta olimpico ed eroe di guerra. Nonostante la vicenda narrata costituisca il racconto esemplare di quanto lo spirito umano possa essere indomito, l'altissimo potenziale del soggetto è andato in buona parte sprecato in fase di realizzazione. Louie Zamperini (Joe O'Connell) cresce in una famiglia italoamericana e fin da ragazzino ha la passione per la corsa, una passione grazie alla quale arriva alle Olimpiadi di Berlino del 1936. Una volta scoppiata la Seconda Guerra Mondiale, viene arruolato nell'aviazione e inviato in missione sul Pacifico, dove, a seguito di un atterraggio di fortuna, rimane alla deriva su di una zattera per ben 47 giorni assieme a due compagni. A salvarlo sono i giapponesi che però lo rinchiudono in un campo di prigionia in cui sarà a lungo oggetto di torture.

"Unbroken" è un film dallo stile classico, girato con mano sicura e vanta un cast tecnico di prestigio tra cui, alla fotografia, il pluripremiato Roger Deakins. Non si può certo dire che nel complesso non sia un buon prodotto e che non sia dotato di alcuni momenti di grande intensità e struggimento, ma ha un limite paradossale proprio in quello che, sulla carta, pareva dover essere il suo punto di forza: la caratterizzazione del protagonista. Sembra incredibile ma l'opera non indaga mai sulle motivazioni recondite, sui meccanismi psicologici e sui retroscena da cui scaturisce la gigantesca forza interiore di Zamperini. Tutto resta in superficie, si osserva semplicemente un giovane uomo alle prese con inenarrabili supplizi che, va detto, alla lunga, appaiono ripetitivi e rischiano di annoiare anziché turbare nel profondo. Louie non è in grado di agganciare empaticamente il pubblico perché rimane sempre uguale a se stesso: solido, integerrimo, stoico e, purtroppo, monodimensionale. Vengono sprecati anche i brevi flashback di cui è costellata la pellicola e inerenti aspetti chiave della vita giovanile di Zamperini, come l'appartenenza a una famiglia di emigranti italiani, le difficoltà di inserimento sociale, il riscatto tramite i riconoscimenti sportivi. La loro funzione è di mera sospensione delle lunghe scene di sofferenza legate al presente bellico del silenzioso protagonista. Si fanno senz'altro ricordare la lenta agonia in mare, durante la quale Louie è alle prese non solo con la fame e con la sete ma anche con gli squali, così come l'estenuante prigionia sotto il sadico comandante Wantanabe (Miyavi), soprannominato "The Bird"; ma qualcosa non quadra se a emozionare veramente e restituire senso al girato sono soprattutto i frammenti precedenti i titoli di coda, quelli in cui, per intenderci, come in ogni biopic che si rispetti, vengono presentate immagini reali a documento della veridicità di quanto narrato.

Non è bastato, a produzione iniziata, inserire i fratelli Coen nel team degli sceneggiatori per evitare al film di essere una prolissa e didascalica occasione mancata.

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