Cultura e Spettacoli

Dal fumetto al cinema, come Tex nessuno mai

Un docufilm su Sergio Bonelli e le sue creature. A partire dall'eroico ranger entrato nell'immaginario collettivo

Dal fumetto al cinema, come Tex nessuno mai

Come Tex nessuno mai, davvero. Niente è come l'Origine, niente, nel cosmo dei fumetti, è come il ranger e i suoi tre «pards», Kit Carson, l'indiano Tiger Jack e il figlio Kit Willer, forgiati dalla mente di Gianluigi Bonelli e portati al successo industriale da quella del figlio Sergio.

Già, Tex e i Bonelli, un rimpallo inestricabile di rapporti, di figliolanza biologica ed editoriale, che è la storia stessa del fumetto italiano. E che, soprattutto, ora è un film: Come Tex nessuno mai, documentario di un'ora «su Sergio Bonelli e il senso della vita», come dice il suo autore Giancarlo Soldi, che dell'editore era anche amico. Il film sarà presentato al festival Lucca Comics (venerdì 2 novembre al Cinema Moderno della città toscana), insieme allo sceneggiato radio Tex contro Mefisto, di cui si parla a fianco. Perché parlare di Bonelli e del senso della vita non può che voler dire, anzitutto, parlare di Tex Willer. Il personaggio (ma è riduttivo, l'avventuriero che cova dentro ciascuno di noi) creato dall'intera famiglia Bonelli, negli anni Cinquanta, quando la casa editrice si chiamava ancora Audace e la redazione coincideva con due stanze, un tinello e una cucina. Gianluigi a inventare e scrivere, la moglie Tea a far da amministratrice e dare credibilità economica alla faccenda, il piccolo Sergio come fattorino, redattore, factotum.

È uno dei tanti aneddoti raccolti in Come Tex nessuno mai, che monta spezzoni dell'ultima chiacchierata con Bonelli, scomparso un anno fa, insieme ad interventi di amici e innamorati di Aquila della Notte, il nome pellerossa del ranger. Bernardo Bertolucci, che ricorda come si giocava a Tex Willer nella campagna parmense, e scova il nesso tra l'eroe bonelliano e Jean-Luc Godard. Il futuro regista adolescente che «rimetteva in scena» le avventure divorate mezz'ora prima sulle tavole, mimando la morte «al ralenty», con la fissità solenne del fumetto. È come muore Jean-Paul Belmondo, fotogrammi finali di Fino all'ultimo respiro. Milo Manara, l'artista delle vignette erotiche, che riconosce un esplicito debito stilistico, un apprendistato grafico nel mondo texiano. Edoardo Erba, drammaturgo italiano tra i più rappresentati e autore televisivo, che confessa di gustarsi i dialoghi tra Tex e Kit Carson, le interminabili schermaglie a base di «tizzone d'inferno» e «satanasso», un uso della parola disinvolto quanto quello della Colt.

E poi, certo, c'è la saga famigliare, il ginepraio di entusiasmi e complessi inevitabile, quando sei il figlio del padre di Tex Willer, e allo stesso tempo il suo editore. «Esito a parlare di mio padre, perché la nostra è una storia un po' strappalacrime, un rapporto complicato...» dice Sergio nel film. La verità, per il regista Soldi, è che «Tex era suo fratello, proprio in senso fisico, era la creatura del padre con cui ha avuto anche un momento conflittuale».

Da lì, la scelta di deviare dalla traiettoria paterna, di dare vita a eroi non così granitici, che «non parlavano come nei film di John Ford», da Zagor a Mister No. Ma poi, ineludibile, il ritorno a Tex, un Tex «riplasmato, meno fordiano e persino dubbioso», lo descrive Soldi. Il timore e tremore quando Sergio si mise a scrivere la sua prima storia di Tex, El Muerto, oggi una delle più amate dai lettori. C'è questo e altro ancora, in Come Tex nessuno mai. L'omaggio sentito di Tiziano Sclavi, il creatore di Dylan Dog, l'opposto antropologico nella galassia bonelliana, il detective postmoderno e destrutturato di fronte al cowboy classico e lineare. C'è il primo numero della serie, La mano rossa, battuta all'asta per 4mila euro.

E c'è il pantheon ideale di Sergio Bonelli, che a Soldi una volta disse: se mai farai qualcosa su di me, devi metterci quattro personaggi. Ken Parker. Martin Mystère. Dylan Dog. Inutile dire quale sia il quarto.

L'Origine di tutto, Tex Willer.

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