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Su Sky Atlantic è arrivata Warrior, la serie che prende le mosse da un'idea mai realizzata di Bruce Lee (1940-1973). Ovviamente essendo Warrior nata dalla mente del fondatore del Jeet Kune Do l'elevato numero di combattimenti corpo a corpo è garantito. Però attenzione, oltre al kung-fu acrobatico e alla violenza di uno spaghetti western (la serie è ambientata nella San Francisco del 1878) nella fiction, che ha tra i produttori esecutivi anche Shannon Lee, la figlia di Bruce, c'è molto di più. Ormai le serie sono prodotti complessi e sarebbe stato difficile andare avanti solo a cazzottoni per dieci puntate. La trama, invece, per fortuna dello spettatore è ben sviluppata e mette in scena gli eterni problemi dell'immigrazione e della guerra tra poveri. Dalle navi che arrivano in città continuano a sbarcare cinesi in fuga da una Cina mai ripresasi dalle guerre dell'oppio perse con gli inglesi. Sono dei poveracci disposti a lavorare per un pugno di riso e governati dalle Tong, bande alla base della nascita della mafia cinese. Gli irlandesi arrivati con il ciclo di immigrazione precedente per sfuggire alla crisi della patata, che a casa loro aveva fatto un milione di morti, non ci stanno. Sono stati usati come carne da cannone nella Guerra di secessione, e adesso nessuno li fa lavorare: i cinesi costano meno. Ovvio che la violenza a quel punto scoppi in città: cinesi contro irlandesi. E c'è chi cerca di lucrarci. Con tutto questo dovrà confrontarsi, e non solo a cazzotti, il protagonista Ah Sham (Andrew Koji).

Il risultato è niente male, un po' Gangs of New York e un po' Dalla Cina con furore.

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