Cultura e Spettacoli

Il gioco supremo della vita è «Una pura formalità»

Non appena si alza il sipario comprendiamo subito con un brivido di malcelata complicità che Una pura formalità (a Milano al Teatro Carcano) è la vita. Sia agita nel suo inquietante mistero, sia nel meraviglioso stupore di una foresta trafitta dalla pioggia. E ancora nello sguardo allucinato di un uomo che non riesce più a ritrovare se stesso. Un essere che ha perso le sembianze che lo connotavano e che si smarrisce nella visione degli oggetti che lo accerchiano. Probabilmente perché la storia stessa che lo contiene è il surrogato onirico di tutto ciò che la vita gli ha offerto. Senza che gli sia data la possibilità di scrutare nelle immagini del passato. Dato che tutto ritorna come in un gioco al quadrato poiché il protagonista stesso è designato con un nome che si mangia la coda: cioè ON-OFF ovvero sù e giù, luce e ombra, tenebra e sole.

E che il luogo ignoto da cui proviene è sempre la selva oscura che ben conosciamo dato che «la diritta via» è da tempo stata smarrita. Per di più qual'è il luogo in cui ci troviamo? È davvero l'ufficio di un giudice? Oppure è un posto di polizia affondato nel bosco oscuro dei ricordi? O il rifugio di un vecchio pazzo che nella solitudine dei giorni lascia che lentamente sfioriscano i fogli del calendario? E cosa sono diventati i numeri che si accavallano e si respingono senza fornirci la minima indicazione. A cominciare da quelli della lancetta dell'orologio che sicuramente citano uno dei più bei romanzi di Carson Mc Cullers, Orologi senza lancette .

Lo script non ci offre altre indicazioni ma si preoccupa di moltiplicare indizi inquietanti. Come se ci trovassimo in uno strano noir virato all'assurdo. Tutto succede e nulla succede tra questi due fantomatici personaggi. In un gioco sorprendente di richiami ed ellissi, di sottrazioni vertiginose e di spunti iperallucinanti di cui non sapremo mai il fine. Tanto che si ha l'impressione che ci si trovi in una versione allucinata del famoso Tè del Cappellaio Matto .

Inutile aggiungere che il gioco dei due protagonisti è semplicemente superlativo.

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