Cultura e Spettacoli

Quel giullare minaccioso e vestito di nero che annuncia trionfante l'inferno in terra

Aldelmo Grifone viene aggredito vicino alla sua dimora da un cavaliere fantasma, il cui ghigno risuona come una beffa. E che porta una testa...

Quel giullare minaccioso e vestito di nero che annuncia trionfante l'inferno in terra

Anno Domini 1233, mese di febbraio

Terra Laboris

Aldelmo Grifone agitò la fiaccola nella notte.

Qualcuno l'aveva chiamato per nome, ma non osava mostrarsi al suo sguardo. Era un'ombra al galoppo tra gli alberi, un cavaliere fantasma accompagnato dal suono argentino di sonagli, tintinnabula, alla stregua di un giullare venuto dall'inferno. Un giullare che forse, come ultima beffa, tramava d'infilzarlo con uno spiedo.

Cercando di non lasciarsi vincere da quelle suggestioni, Aldelmo sguainò la spada e indietreggiò verso la mole del castello che dominava dall'alto la vallata. Non sopportava l'idea che fossero giunti a provocarlo fin davanti alla sua dimora, il luogo in cui riposavano l'onore e la memoria dei suoi avi. Le mura vetuste in cui la stirpe dei Grifoni, scesa da Benevento, aveva prosperato per secoli sotto il dominio dei normanni e poi dei sovrani svevi.

«L'ultima tromba ha squillato!». La voce risuonò nel buio, accompagnata da una risata di scherno. «Prepara l'anima!». Aldelmo scrutò il groviglio di tronchi e rami alla ricerca del misterioso cavaliere, ma non riuscì a percepire altro che un trepestio di zoccoli e un'eco di tintinnii.

«Fatti vedere, cane!», lanciò la sua sfida.

A rispondergli furono soltanto altre risate.

«Moamin!», invocò allora il Grifone. «Moamin, per il diavolo! Dove ti sei cacciato?!».

«Qui, mio signore!».

Spostando la fiamma alla propria sinistra, Aldelmo riconobbe il turbante giallo e la barba appuntita del suo servo più fidato.

«Corri agli stallaggi!», gli ordinò. «Corri, Moamin, e torna qui col mio destriero!».

«Perché invece non vi mettete al riparo?», gli consigliò l'arabo, mentre sollevava una lancia con le sue braccia magre e nervose. «Lasciate che sia io a rispondere all'insulto... Io a rischiare la vita!».

«Mi reputi forse un vigliacco?!», gli urlò in faccia il padrone. «Va' a prendere il mio cavallo, ti dico!», e lo spinse indietro. «Va'!».

Ma prima che il servo potesse obbedire, un nitrito acutissimo lacerò la notte, costringendo i due uomini a puntare gli sguardi verso una coppia di alberi a una decina di passi da loro. E all'improvviso, proprio fra quei tronchi, emerse un figuro in sella a un corsiero del colore dell'ebano.

Vestito di nero, così da apparire un tutt'uno con la sua cavalcatura, quell'individuo faceva vibrare a ogni falcata i sonagli di metallo cuciti ai lembi della cappa in cui era avvolto, producendo un suono giocoso e al tempo stesso grottesco.

Fu però quello che il cavaliere teneva sollevato con la mano destra a far gelare il sangue di Aldelmo.

Una testa!

Quel demone portava a mo' di trofeo una testa!

Incapace di staccare gli occhi da ciò che reggeva, il Grifone rivolse subito il pensiero ai suoi figli, Landolfo e Aloisia, lontani dalla dimora di famiglia, e pregò Dio che quel cranio non fosse stato spiccato dal collo di uno di loro.

Poi sentì Moamin lanciargli un grido d'allarme e, ritrovandosi nella tenebra, vide il cavaliere nero caricare contro di lui.

«Avanti, dannato!», ebbe il tempo di proferire, mentre alzava la spada per difendersi.

Ma non appena fu giunto a un passo da lui, il nemico strattonò le redini, e prorompendo in una risata selvaggia gettò ai suoi piedi la testa mozzata. «È l'ultima tromba!», rimarcò, accompagnato dall'infernale tintinnio dei sonagli. «L'ultima tromba!».

Dopodiché l'infame girò il cavallo e, con un colpo di sprone, si allontanò verso gli alberi come un incubo che fugge dall'alba.

Pur mantenendosi all'erta, la lama pronta a colpire, Aldelmo non poté resistere all'impulso d'inginocchiarsi sull'erba per raccogliere il macabro tributo di cui era stato omaggiato. E, in un amalgama di raccapriccio e sollievo, posò le dita su due corna ricurve che spuntavano da una fronte dal vello ispido.

Non erano resti umani.

Ma nemmeno la reliquia di un demone.

Era l'avanzo di un beccaio.

L'enorme testa di un caprone nero.

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