Cultura e Spettacoli

Gombrowicz inarrestabile come un "Trans-Atlantico"

L'autore polacco espatriò in Sud America nel 1939 Cercando un Nuovo Mondo anche in letteratura

Gombrowicz inarrestabile come un "Trans-Atlantico"

L'espatrio è il carattere dell'opera di Witold Gombrowicz; egli è l'espatriato dalla letteratura europea. Non vuole rifugi, non vuole sicurezze, non vuole la paghetta della notorietà, il prepensionamento della tradizione, il selvaggio Witold: è l'eterno bambino che eternamente fa tiè al padre, lo spernacchia tirandosi giù i calzoni.

Morto 50 anni fa, in Francia, nel 1939 Gombrowicz lascia la Polonia per l'altro mondo, l'Argentina. Il viaggio non è guidato da una qualche intenzione: Witold è uno che surfa sul caso, ha delegato il destino al tritacarne del caos. «Tutta quella storia della partenza fu come se una grossa mano mi avesse afferrato per la collottola, prelevato dalla Polonia e deposto su quella terra sperduta nell'oceano, eppure europea... esattamente un mese prima della guerra», dice Gombrowicz a Dominique de Roux in quel libro-intervista folgorante, Testamento (Feltrinelli, 2004). Dice, fagocitando l'agiografia in grottesco, che un amico, Czeslaw Straszewicz, mentre sta oziando in un bar di Varsavia, gli fa «Vado in America del Sud», e Witold, tra uno sbadiglio e uno sbaglio, replica, «E non potrebbe invitare anche me?». Naturalmente, quando deve imbarcarsi sbraca, arriva in ritardo, «la porta è chiusa... addio America!». I deliri oceanici paiono svanire, senonché, «mi avvio malinconicamente giù per le scale, quando all'improvviso sento un rumore di passi: è la squadra di calcio, anch'essa in ritardo, che deve recarsi in Danimarca per una partita internazionale». Vero o non vero, Gombrowicz atterra in Argentina il 22 agosto del 1939, «dopo una spensierata traversata di tre settimane», e s'impantana nel sottosuolo dell'esistere.

Di questa esperienza picaresca, pazzesca - Witold sta laggiù, sulle sponde torbide del Rio della Plata, fino al 1963 - è esito Trans-Atlantico, romanzo arcano, spiazzante, cubista, ora tornato in auge grazie a il Saggiatore (pagg. 204, euro 24, traduzione di Riccardo Landau, con una postfazione di Francesco M. Cataluccio), su cui aleggia un piccolo enigma - del tutto gombrowicziano, in uno scialacquio della fama - riguardo la pubblicazione originaria (tradotto da Feltrinelli nel 1971 con una nota che avverte «pubblicato per la prima volta nel 1950 a Parigi», secondo Cataluccio «fu pubblicato, nel 1952», secondo altri reperti è «pubblicato originariamente nel 1953»). «Questo Trans-Atlantico continua sempre a divertirmi... giocoso, sclerotico, barocco, assurdo... è il meno conosciuto dei miei romanzi: quei bisticci linguistici sono difficili da tradurre... E dire che proprio io, gettato sulla costa americana senza un soldo, dimenticato da Dio e dagli uomini, ho scritto una cosa simile!», ulula Gombrowicz a De Roux, compiaciuto.

Libro della depravazione antipatriottica, una specie di Guernica senza altra politica che lo scialo e lo scempio, dove Gombrowicz si erge a antieroico disertore, antieuropeista, antipolacco, antitutto, che sfregia le chiappe occidentali («Navigate verso questo Santo Mostro Oscuro che da secoli tenta di crepare ma non ci riesce... navigate, navigate e che quel Prodigio non vi consenta né di Vivere né di Crepare, che vi tenga sempre tra l'Essere e il Nonessere»). Libro carnevalesco, insopportabile malia, in cui Witold, l'espatriato, sputa in faccia, soprattutto, alla patria letteraria: il brano in cui rievoca l'incontro con Borges («quell'animale sciorinava come un libro stampato, sciorinava da far rivoltare lo stomaco, e diventava sempre più intelligentemente intelligente e sempre più sottilmente sottile») e sfotte l'intelligenza argentina («schioccavano le labbra, degustavano, pur disprezzando quel loro Schioccare e Degustare») è micidiale, trimalcionico. «Borges e io siamo agli antipodi. Lui è radicato nella cultura, io nella vita; io sono addirittura antiletterario... il Borges erudito è di un'ignoranza terrificante»: così, dal vero, Gombrowicz ricorda i rari incontri con l'icona letteraria. Pur apprezzandone le opere («dovetti riconoscergli una rara perspicacia di spirito e pensiero») ne disprezza l'ecosistema lirico, l'esistenza esiziale, pallida («Avrei di gran lunga preferito la gaffe creativa, l'errore, perfino la sciatteria purché traboccante d'energia, ebbra di poesia... che quella gente, sempre con il naso nei libri, sembrava ignorare», precisa nel Diario. Volume I, Feltrinelli, 2004).

La letteratura ufficiale, europea - per Gobrowicz, Borges «avrebbe potuto bene, e forse meglio, essere nato a Montparnasse» -, continentale, è corpo cadente, zombie con le mascelle in tracollo, escremento, vagito gastrico, sfogo, scarto.

«Basta, basta con il vecchio, che venga il Nuovo!», ulula l'osceno Witold in Trans-Atlantico, mentre inscena il parricidio della letteratura, il gran sabba della retorica.

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