Cultura e Spettacoli

I cent'anni del genio Charlot, poetico vagabondo del cinema

Lo straordinario personaggio di Charlie Chaplin è un'icona del '900 grazie a capolavori come "La febbre dell'oro" e "Luci della città"

I cent'anni del genio Charlot, poetico vagabondo del cinema

Charlot e Chaplin. Le due facce dello stesso mito. Eppure perfino chi va al cinema sgranocchiando popcorn conosce Charlot, ma non è detto che gli suoni familiare Chaplin. Anzi. Del resto era successo anche a Pinocchio, lestissimo a scavalcare il suo autore. Così l'omino con i baffetti e la bombetta è diventato popolare quanto il burattino di legno con il naso lungo. E sì che partiva con trentatré anni di ritardo. Era il 7 febbraio del 1914, giusto un secolo fa, quando per prima volta si materializzò sullo schermo in Charlot si distingue, dove a distinguersi, almeno per sciatteria, è il traduttore del titolo (l'originale è Kid Auto Races at Venice). Un filmino quasi amatoriale, che oggi, senza tema di sbagliare, si chiamerebbe corto.

Il personaggio comunque era già delineato. Al di sopra di tutto la bombetta, quindi una faccia tra il malinconico e il furbetto, da subito con i baffi; poi, scendendo, una giacchetta striminzita, soltanto i primi due bottoni allacciati, una cravatta senza nodo, un gilet sdrucito sopra una camiciola a collo alto, pantaloni al malleolo, legati alla cintola con una cordicella di fortuna. Infine un paio di scarpone semisfasciate di tre o quattro misure più grandi del dovuto. A completare il quadro un bastoncino di bambù, tanto superfluo quanto agitato.

D'altra parte un vagabondo mica veste come un lord. E proprio come The Tramp («Il vagabondo») l'omino conquistò l'America. Ignara che in Italia, e in Francia, lo chiamassero Charlot. Clamoroso il successo, se si pensa che nello stesso 1914 Charlot fu protagonista di altre trentaquattro(!) comiche, brevi quanto si vuole ma sempre trentaquattro, come dire poco meno di una ogni dieci giorni. Un gran bel tipo quell'omino: così candido da poter tranquillamente essere preso per fesso. Così maldestro da sfiorare a ogni passo monumentali catastrofi. Ma più spesso provocandole, secondo l'immutabile destino dei clown. S'appoggia a un muro e cade l'intera casa, allunga una gamba e fa inciampare una coppietta, si tuffa in acqua e affonda una barca. Sempre affamato, sempre di corsa, sempre in pericolo. Volto impassibile, un sorriso ogni tanto, la bombetta incollata alla testa, anche quando deve svignarsela a gambe levate.

Un vero genio. Non solo della comicità. Prendete Tempi moderni, anno 1936. Charlot, disoccupato, tanto per cambiare, sta camminando senza meta quando il camion che lo precede perde la bandierina per la segnalazione del carico sporgente. Lui non ci pensa due volte, l'animo è nobile, anche se lo stomaco è vuoto. Così afferrato il drappo, lo sventola a manetta, mentre insegue l'autista distratto. Ed ecco che in quel preciso istante da una via laterale sbuca un corteo di scioperanti. Neanche a farlo apposta, l'omino diventa inconsapevole capofila della protesta. Il film, oltre che muto è in bianco e nero, ma in platea anche i bambini dell'asilo capiscono che quella bandierina è rossa. Inesorabile passepartout per la galera.

Di capolavori, veri e più ancora presunti, si sono riempiti gli schermi e le penne dei critici. Nessuno però oserà lasciar fuori da questo immaginario elenco La febbre dell'oro, girato nel 1925. Un film di cui proprio domani la Cineteca di Bologna presenterà la versione restaurata. Cineteca che ha appena curato la pubblicazione, in inglese, di un romanzo inedito di Chaplin, Footlights, scritto nel '48 e sceneggiatura base, chissà se premeditata, del suo Luci della ribalta di quattro anni dopo. Anche qui, come è regola dei film con Charlot protagonista, le risate si accavallano alla commozione, uno stupefacente ottovolante di emozioni, riservato ai rarissimi poeti del cinema. Guardare per credere la scena in cui l'omino, devastato dalla fame, addenta una scarpa, scambiando le stringhe per spaghetti. E subito dopo è il cuore a soffrire davanti alla bella canzonettista del saloon.

Una straordinaria altalena che raggiunge forse il suo punto più alto nel magico Luci della città del 1931. Charlot s'innamora di una povera fioraia cieca, che lo crede un riccone. Come trovare i soldi per operarla? Càpita a fagiolo un vero milionario, disposto a una fraterna amicizia con lo sconosciuto. Peccato che la sua sia una generosità a orologeria: il portafogli che si spalanca quando è brillo, si richiude appena è sobrio. Finché il destino per una volta è benigno e Charlot può mantenere la promessa. Passa il tempo e la fortuna si è girata dall'altra parte. L'omino, di nuovo a terra, ritrova la ragazza, che ora vede, e, dalla vetrina del suo negozio di fiori ovviamente non può riconoscerlo. E qui arriva il colpo del genio: lei esce e gli sfiora la mano. E capisce in un lampo. L'amore e la gratitudine racchiusi in uno sguardo e in una carezza.

In ottant'anni nessuno ci è più riuscito.

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